LA LUCE IN SALA


LA CHIESA FA PAURA (OVVERO SCHERZAR COI SANTI # 6).
5 marzo 2013, 7:33 PM
Filed under: Scherzar coi santi

American-Horror-Story-poster-Asylum

Una serie horror ambientata in un manicomio gestito dalla Chiesa Cattolica: “Brrrr!” ho pensato fra me e me quando ho scovato le prime indiscrezioni sulla seconda stagione di American Horror Story: Asylum, per l’appunto. A fine visione le sensazioni provate sono state tante e in così tante sfumature, che non riesco a stabilire se sono più arrabbiato, scandalizzato, infastidito, divertito con amarezza, colto da un attacco di vittimismo, etc. Sdrammatizzare (se ancora possibile, ovvio), è indubbiamente il metodo che preferisco; non per sminuire la gravità degli atti in sé stessi – che hanno il peso che hanno – ma per sbertucciare gli intenti lì sottesi.

Ecco perché ho ficcato un po’ a fatica – lo cofesso, e temo senza suscitare chissà che divertimento – lo sproloquio che segue nella rubrica più scema del blog.

1. Esempio di richiamo contestuale cattolico: AHS 1, il Papa nella Stanza delle lacrime.

American Horror Story prima stagione: il Papa nella Stanza delle lacrime.

American Horror Story è stato un prodotto interessante, e se vi piace l’horror non potete mancarlo. Ho molto apprezzato la prima stagione (rinuncio a malincuore ad entrare nei dettagli) non soltanto per motivi impliciti all’esperienza di visione, ma anche perché nel ricco mix narrativo-tematico proposto non mi erano sfuggite alcune ambigue sfumature filo-cattoliche (assieme a precisi richiami contestuali). Insomma, per farvi capire in due parole, fra le mille perversioni della serie un messaggio che mi pareva giungesse chiaro, nascosto dietro a tutti quegli orrori, era “L’aborto è un omicidio” (sì: sul serio). Un secondo messaggio, anzi una domanda timidissima e provocante assieme, mi era sembrata “Siamo sicuri al 100% che le coppie gay adottino un bambino per i motivi giusti?” (no, non scherzo nemmeno qui). Ero insomma quantomeno conturbato: che qualcosa di insolito premesse dietro alle apparenze? Sono “scattate le indagini” e, venuto a sapere dell’ambientazione della seconda serie (ognuna è un capitolo a sé), ho avuto una prima conferma: chi lavora qui vuole dire qualcosa sulla Chiesa. Comunque non ho tratto conclusioni affrettate: le strategie a lungo termine dei serial USA sono arcinote. Ma veniamo al sodo.

Luther_2003_13

Fiennes prete apostata: Lutero.

Fiennes Timothy

Fiennes prete in carriera: Mons. Timothy

Briarcliff è un manicomio (anche criminale, non facciamoci mancare niente), gestito dalla ruvida Suor Jude: la piissima Sorella tiene nel suo ufficio un bell’armadio rivestito di velluto verde entro cui sono sacralmente alloggiati gli strumenti con cui ella incoraggia pazienti e sottoposte alla retta via: un paio di dozzine tra frustini, scudisci, verghe, mazze. Esteriormente la donna è l’immagine della granitica adesione alla missio (quale missio non si sa), interiormente… ma che dico, proprio sotto al vestito! (dal momento che indossa una libidinosa sottoveste rossa), concupisce il suo superiore, Monsignor Timothy Howard. Meno male che quest’ultimo è consumato unicamente dalla sua di missio, e mirando a diventare “il primo papa angloamericano” (continua a sognare, Tim) risulta davvero elastico, concedendosi di praticare le più atroci nefandezze morali a cominciare dal supportare il lavoro di un terzo figuro:

Cromwell "prete" "nazista" ( e stucchevole).

Cromwell “prete” “nazista” ( e stucchevole).

il Dr. Arden, un criminale nazista che tortura i suoi assistiti sul tavolo operatorio (lui – beata parcondicio – è illuminato dalla scienza più becera… e ateo). C’è poi Satana che è in assoluto il mio personaggio preferito (almeno fa il suo lavoro senza farla troppo lunga: un gran simpaticone). Concediamoci una carrellata vagamente meta-cinematografica sugli attori: sapete chi interpreta Monsignor Howard? …Martin Lutero. Chi interpreta il nazi, il Dr. Arden? Questo è il mio preferito…Pio XII (prego, cogliete TUTTI i sottintesi)! Chi interpreta uno dei più infami ospiti di Briarcliff, serial killer di famigliole travestito da Babbo Natale? L’indimenticabile – nel senso che non te lo scordi manco se ci provi – Vescovo Waleran Bigod!

Cromwell dottore nazista.

Cromwell dottore nazista.

Ovvero Joseph Fiennes (Luther – E. Till, 2003), James Cromwell (Sotto il cielo di Roma – C. Duguay, 2010 – ma ha vestito panni sacerdotali anche altre volte) e Ian Mc Shane (I pilastri della terra – S. Mimica Gezzan, 2010). Pura casualità, se l’analisi meta-cinematografica non fosse uno specifico ingrediente della serie. Comunque meglio puntare i riflettori sui creatori della serie, Brad Falchuck e Ryan Murphy (omosessuale, cresciuto come cattolico, ancora va a messa “nelle occasioni importanti”), già padri del coloratissimo (e presto deludente) Glee e – Murphy – di Nip/Tuck, altra serie spiccatamente piccante e sopra le righe, infarcita di perversioni sempre in crescendo ma con un paio di interessanti incursioni nel mondo cattolico (magari ci torneremo). La mia critica a Murphy, parlando di telefilm, è puramente contenutistica: trovo che i suoi lavori siano tutt’altro che trascurabili, ma inficiati da un parossistico bisogno di proporre situazioni sempre più stupefacenti, stranianti, sgradevoli, nuove in senso assoluto, percorrendo una china certamente creativa e drammatica ma in continua messa a punto di un degrado interiore, sessuale, umano, sempre più desolante.

Mcshane "prete" buffone e assassino.

Mcshane “prete” buffone e assassino.

Mcshane buffone e assassino.

Mcshane buffone e assassino.

Questa discesa non è sicuramente (artisticamente) condannabile a priori, ma si rivela prestissimo per quello che è: non tragedia, ma mero meccanismo per far sobbalzare la sensibilità dello spettatore; un giochetto d’un manierismo patetico e fastidioso che, portati sul fondo i propri personaggi, li abbandona per l’incapacità di proporre una morale (che sarebbe forse chiedere troppo) o almeno una loro maturazione sensata, un percorso organico. Asylum è la perla di questo processo distruttivo: in esso si colpisce a centro sicuro attaccando la Chiesa Cattolica, in particolare prendendo di mira ciò che resta della più bella reliquia artistica americana del rispetto cattolico, ovvero IL CINEMA CLASSICO. Quest’ultimo è schiacciato da un’ambientazione pressoché coeva che lo pone al centro di quel ripensamento critico, molto in voga, bollante una tantum come “ipocrita” l’intero complesso di valori legati ai ’50-’60. Un grimaldello ideologico con cui sponsorizzare lautamente femminismo, omosessualismo, aborto e altri pilastri del mainstream di oggi. Non mi va insomma che un personaggio osceno (almeno inizialmente, ma comunque fuori misura) come Suor Jude, carnefice dell’amore saffico di una paziente, promulgatrice della sterilizzazione, dell’elettroschock, sadica, rabbiosa, ricattatrice, si faccia venire i luccichini agli occhi nominando A Song for Bernadette (H. King, 1943). Non mi va che la persistente canzonicina friggi-cervello della sala comune del manicomio sia Dominique (da The singing nun – è il film del ’66 di H. Koster, ma la canzone ha una storia separata… che far strisciare qui è stato diabolicamente geniale). Mi fermo qua, ma Murphy (e il suo staff) giocano tutto sull’ambiguità dei personaggi cattivi, e usano sistematicamente il citazionismo cinematografico attivo proprio in questo senso. Così titoli che sono il ricordo di un modo di intrattenere senza l’attuale aggressività ideologica, vengono anch’essi sporcati in toto nella melma infernale partorita da Murphy, e sponsorizzati quali distillati di un presunto buonismo fasullo: la punta dell’iceberg dell’immensa “menzogna cattolica”. Si sente che Mr. Murphy (parlo di lui perché è il reo cattolico) ha masticato la religione romana, lo avevo inteso benissimo ancor prima di controllare: sa di cosa parlare e come farlo in modo che un cattolico ne sia colpito. Forse pensava a spaventare proprio i cattolici, chissà. Murphy shackera il cattolicesimo e lo fa copulare con una valanga di situazioni oscene, infilando vere e proprie bestemmie, vere e proprie menzogne, vere e proprie prese per i fondelli, papocchi new age, e poi ancora scemate, scemate, scemate.

Caro Murphy, non lo sapevi che gli episodi sono tredici? Sei stato ingordo: hai voluto far toccare il fondo alla suora e al monsignore (sì, sotto la quarta zona del nono cerchio dantesco) nella prima manciata di episodi, per poi pretendere che ci potessimo bere i loro sprazzi di “umanità”? I personaggi di chiesa sono talmente orrendi e lucidamente malvagi che quando tentano di inserirsi nella trama per portarla avanti facendosi conoscere… a noi non interessa più! Le hanno fatte troppo grosse, sono solo dei mostri cui non si può, anche sforzandosi, perdonare nulla… sono puerilmente ossimorici, non credibili, stupidi nella loro crudeltà.

Murphy, ti hanno rinnovato la seconda stagione per un soffio e tu hai voluto andare sul sicuro. Eri partito bene con la prima stagione, ma poi dovevi proseguire gradualmente… qua hai rotto gli argini! Dovevi partire da suore e preti con lo sprazzo d’umanità e solo poi (ma lentamente, diamine!) mostrarli come dei perversi criminali. Se non infili almeno un personaggio buono (la Superiora è troppo poco, me la fai scacciare dalla diocesi dopo due secondi!) penseranno tutti che sei arrabbiato con la Chiesa per storiacce tue (o chissà che altro)… non perché vuoi essere aggiornato e costruttivo. Se la serie non fosse una gigantesca ingiuria penserei che queste cose le sapevi, e hai calcato la mano apposta per scrivere una barzelletta… sgradevole ok, ma innocua.

Sarebbe “bello” se fosse così… ma non illudiamoci. Il cinema, e ancor più i telefilm, sono divenuti uno strumento – magnifico, nulla da dire, e per questo vincente – con cui il comune sentire è stato rimodellato nell’arco di qualche lustro. Bollarli come “intrattenimento” è didascalico, dal momento che in essi s’è data forma a un nuovissimo sistema di valori, imboccando le coscienze con una zuppa sempre più concentrata. Ce ne siamo accorti tutti ormai… e del resto l’ultimo lavoro di Murphy desidera gridarlo sin dal titolo: The new Normal. Asylum è un grumo scivolato nel cucchiaio… o forse ormai non occorre troppa prudenza, visto l’attacco che la Chiesa subisce proprio in questi giorni. Forse anche per questo il battuage pubblicitario in patria dedicato alla serie è stato così imponente.

L’obiettivo è la Chiesa nel complesso, ma le vittime predilette, nuovo traguardo impastato di nunsploitation, sono le suore. Mi ritorna in mente un episodio del Dr. House (1×05, purtroppo non ho seguito tutta la serie): il dottorino biondo a proposito di una paziente suora: “Detesto le suore!”; ribatte House dalla sua torre di saccenza: “E chi no?”. Ma che hanno fatto le suore USA (intendo quelle di ieri, quelle che non avevano il terrore di essere detestate)? Hanno bacchettato troppe mani con righelli troppo robusti? Educato troppo? Lavorato troppo a favore dello sviluppo sociale? Sono senza dubbio di parte, ma credo di avere una buona (perfettibilissima) mappa mentale delle magagne della Chiesa; pur non essendo un esperto mi pare che la diffamazione (in Italia giustifica qualsiasi cosa l’etichetta “satira”, in America va alla grande quella di “arte”) sia talmente estrema da apparire surreale, feroce al punto da stornare qualsiasi eventuale intento di denuncia “costruttiva” o realistica. Murphy dipinge un manicomio cattolico come un luogo di torture indicibili, umiliazioni, sofferenze, esperimenti, pratiche eugenetiche. Pazienza se ad essere internati e sterilizzati erano preferibilmente, nella prima metà del Novecento, proprio i cattolici! Pazienza se il vergognoso episodio della Willowbrook School di New York – per il quale procedendo con la storia si istituisce uno schiacciante parallelismo – fu un’impresa esclusivamente statale e realissima. Anche Briarcliff a un certo punto diventerà statale, ma la Willowbrook School invece lo fu sin dal principio: mescolare il falso al vero funziona, qui Murphy sei stato furbo, te ne do atto. Il messaggio che passa? Semplice: gli orrori verissimi (e laicissimi) della scuola newyorkese (proprio nei ’60 si arrivò al contagio dei bambini qui ricoverati col virus dell’epatite, dal momento che i ricercatori, storditi da quella stessa eugenetica che la Chiesa condannava, ritenevano che l’avrebbero contratta in ogni caso*) sono frutto dell’inerzia distruttiva di quelli cattolici – che però… dopo aver setacciato la rete fino alla nausea, mi risultano ideati ex novo. “La storia in parte è ambientata in un istituto mentale basato largamente sulla verità, e la verità fa sempre più paura della fiction”, dice Murphy. Occhio: basato largamente, non del tutto! Murphy, ma dillo subito no? Mi stavi facendo fare la figura del tendenzioso :)

Asylum alla fin fine è solo un telefilm: arte, narrativa, drammatizzazione, FANTASIA. Un romanzo visivo con qualche colpo di genio, momenti memorabili, trovate interessanti (perché nasconderlo?). Un prodotto con qualche bravissimo attore (Jessica Lange toglie il fiato), qualche momento registico stupendo, una cura del dettaglio considerevole, un’estetica notevole. Una storiella insomma… che vi insegnerà ad aborrire la Chiesa Cattolica.

Dovreste guardarlo? Beh… perché no. Ma sappiate che alla fine mi ha deluso. Non per l’horror o per le perversioni oscene (a parte la loro meccanicità gratuita da un horror non ci si aspetta certo una lezione di catechismo),  e nemmeno per il pistolotto qui sopra. Ha deluso perché ai pregi e ai difetti già enunciati si sommano ulteriori pecche nell’intreccio che, sguaiato com’è (e com’era dunque prevedibile), viene risolto a tocchi e bocconi senza recuperare le briglie del discorso, aggravando terribilmente la sensazione di trovarsi innanzi a un contenitore di orrori gettati alla rinfusa, per fare numero, per disgustare e stop.  Non c’è una vera forza accentrante, non c’è la regia di una trama robusta, non c’è un intreccio intelligente. Non sono del tutto pentito di averlo visto… ma non posso nemmeno dire che ne sia valsa davvero la pena. Sicuramente non mi è dispiaciuto imbattermi in qualche momento ben riuscito, davvero geniale, narrativamente o per le soluzioni registiche adottate. Comunque se avete uno stomaco appena meno che a prova di bomba… è proibito.

E la storia dell’aborto? Non posso entrare nel dettaglio -pena megaspoiler- ma l’ambiguissima filosofia di Asylum (cui non guasterebbe una seconda visione), alla fin fine sembra recuperare quanto adombrato nella prima stagione, con gli stessi dubbi, le stesse mezze proposizioni interessanti, in parte smentite dalla conclusione… in parte no. Conviene tagliare la testa al toro enucleando una viscida ambiguità che, in quanto tale, appare vagamente pro choice.

La Chiesa fa paura. Il titolo del post nasce dall’esclamazione della tesoriera dell’Uaar su Raitre, in un programma che non ricordo. Comunque vediamo bene A CHI, fa paura. Da un lato fa piacere: la Chiesa è un avversario ancora in salute se capace di ispirare costosissimi pamphlet a suo discapito; dall’altro  certo, non cessa di amareggiare lo stile scelto.

Il modo migliore per troncare mi sembra, a questo punto, quello di un tributo. Italo Calvino, astro letterario certamente non passibile di partigianerie, registra nel suo La giornata di uno scrutatore, il parere di un paziente del Cottolengo:

“Io so fare tutti i lavori da me […]. Sono le suore che mi hanno insegnato. Qui al Cottolengo facciamo tutti i lavori da noi. Le officine e tutto. Siamo come una città. Io ho sempre vissuto dentro il Cottolengo. Non ci manca niente. Le suore non ci fanno mancare niente. Grazie alle suore sono riuscito a imparare. Io senza le suore che mi aiutavano sarei niente. Ora io posso fare tutto. Non si può dire niente contro le suore. Come le suore non c’è nessuno”.