LA LUCE IN SALA


LA LOCANDA DELLA SESTA FELICITA’
22 aprile 2015, 11:11 am
Filed under: Cristiani, Film

(The Inn of the Sixth Happiness)

UK, 1958, di Mark Robson, con Ingrid Bergman, Curd Jürgens, Robert Donat…

LALOCANDA DELLA SESTA FELICITàGladys Aylward era una missionaria protestante di origini britanniche che, spinta dall’intima certezza nella propria fede, intorno agli anni ’30 decise di intraprendere tutta sola (per i circuiti missionari organizzati evangelici non era abbastanza qualificata) il viaggio dall’Inghilterra alla Cina. Un’impresa a dir poco eroica, se si considera la mentalità di quei tempi, l’estrema povertà della Aylward e ovviamente, gli enormi rischi che comportava l’attraversamento della Russia comunista e l’insediamento in una nazione culturalmente antipodica.

Alla figura di questa piccola gigantessa della fede cristiana è stato dedicato il libro The Small Woman, scritto da Alan Burgess, in seguito rimaneggiato dalla 20th Century Fox per una celebrazione in salsa hollywoodiana delle virtù della Aylward. Celebrazione che, come si maligna, giusto “prima che lo zelo missionario diventasse sospetto”* attirò di gran carriera una Ingrid Bergman desiderosa di riabilitarsi agli occhi della società dopo la scandalosa relazione con Rossellini.

Il film è un’interessante, per quanto edulcorata (siamo pur sempre nel ’58), narrazione di un episodio che va ad arricchire l’insieme dei racconti su celluloide della diffusione del cristianesimo in Cina. Uno dei capitoli più aspri nella storia della propaganda della fede (che già su queste pagine abbiamo considerato: Le chiavi del Regno, I fiori della guerra, Il velo dipinto, Ombre sulla Cina) e che non cessa di suscitare interesse per i vivissimi collegamenti che richiama alle attuali sofferenze dei cristiani di quella terra.

LA LOCANDA DELLA SESTA FELICITà 01Il film offre il suo meglio nella prima metà, quando seguiamo la determinatissima Gladys nelle avventure londinesi precedenti la missione vera e propria: il lavoro come cameriera per ottenere i soldi del biglietto ferroviario, la traversata transiberiana, l’approdo a una realtà cinese dai tratti ostili, sospettosi e violenti. È in questa prima metà del film che le preoccupazioni religiose di Gladys si esprimono al loro massimo, senza troppe parole ma con l’eloquenza delle azioni coraggiose e misurate, piene di quella pacifica abnegazione che spinge lo spettatore a interrogarsi seriamente sulla provenienza di una tale forza, sul significato di una serie di scelte così poco convenzionali, così… folli. La risposta è ovviamente sottintesa, ma se all’inizio di questa lunga pellicola il messaggio cristiano che la Gladys originaria veicolava con la sua vita appare evidente, con l’incedere della trama abbiamo un progressivo annacquamento delle prospettive religiose, in favore di una visione più assistenzialista. Il proselitismo della donna inglese sembra arenarsi dichiaratamente con una frase quantomeno brusca, pronunciata in risposta proprio alla domanda : “Non state trascurando l’attività missionaria?”. Questa la risposta: “Credete che si tratti di questo? Di raccogliere conversioni come un ragazzo raccoglie francobolli? Per me è convincere tutti gli uomini che davanti a Dio sono uguali, che abbiano fede in Cristo, in Buddha o in niente”. E infatti il film si assesta esattamente su questo orizzonte, con una missionaria sempre più politicizzata e coinvolta nell’attivismo sociale, rivolta alla sua fede giusto giusto nei momenti in cui è narrativamente indispensabile. Un punto di vista, quello dell’eroina cinematografica sicuramente apprezzabile, ma che forse tradisce un po’ il senso interiore della missionarietà. L’aspetto peggiore è che questo progressivo cambiamento avviene soprattutto per fare della vicenda umana della Aylward l’ennesimo polpettone rosa, con tutte le lungaggini del caso che fanno piombare la seconda parte del lungometraggio nella staticità da “film di cui si attende la fine”.

LA LOCANDA DELLA SESTA FELICITà 03A confermarci che i conti non tornano del tutto è proprio la Gladys originaria, la quale inorridì di fronte ai pesanti rivolgimenti operati sulla sua biografia: non solo lei non aveva mai baciato un uomo, ma lo stesso finale della pellicola, che alluderebbe a una sfumatura rosa che non ci fu, tradisce la sua reale decisione di rimanere coi suoi orfani fino alla morte, avvenuta nel 1970**.

Nonostante le inaccuratezze il film merita comunque, in mancanza di un biopic alternativo, di essere visto: la vicenda della Alyward merita di essere conosciuta, e il film può essere considerato un buon punto di partenza. L’ingrediente “religioso” è presente e apprezzabile anche ai minimi termini cui è stato ridotto.

Incontrare Gladys su celluloide permette un viaggio affascinante in una Cina ben ricostruita; un viaggio che riserva tutto ciò che un grande classico offre per definizione, dramma punteggiato da momenti che strappano un sorriso, una storia d’amore tormentata, grandi scenari, grandi ricostruzioni storiche di sicuro impatto (come la scena dei bombardamenti giapponesi sul villaggio della missionaria).

Il film venne interamente girato nel Galles del nord, il cui paesaggio poteva essere assimilato a quello cinese; per realizzare le scene in cui Gladys conduce cento orfanelli in un lunghissimo cammino oltre le montagne per sfuggire ai bombardamenti, sono stati “rastrellati” bimbi di origini cinesi nell’intera Inghilterra.

LA LOCANDA DELLA SESTA FELICITà 02

Questa estenuante marcia di circa cento miglia rappresenta il coronamento narrativo, nel film, dello spirito avventuroso e pieno di fede di Gladys. Questa impresa nella realtà si compì in ventisette giorni, e segnò profondamente la salute della donna, che non tornò mai più ad essere, fisicamente, quella di prima. Non si tratta solo di un esempio del sacrosanto “fare la cosa giusta”, ma piuttosto di entrare in contatto con una dimensione sacrificale molto profonda, e che non per tutti appare di immediata comprensione. Lo dimostra l’abbassamento melenso imposto al film che, per qualche minuto di dolci languidità da vendersi in stock, scioglie il sale bruciante dell’Amore che costa la vita.


*N. Peske, B. West, Cinematerapia 2, un film dopo l’altro verso la felicità, Feltrinelli, 2005, p.230: un aspetto che abbiamo già visto nella recensione de Le chiavi del regno.

**Vennero modificati anche nomi reali molto significativi, il suo stesso soprannome cinese, “Quella virtuosa”, in “Quella che ama la gente”; la reale “Locanda dell’ottava felicità” nella… “sesta”. Il viaggio sulla Transiberiana, difficoltoso all’inverosimile in quel periodo storico, viene liquidato molto velocemente. Gladys considerò inoltre molto offensivo che il personaggio del Colonnello Lin Nan sia stato reso, fantasiosamente, mezzo europeo. Ingrid Bergman infine, alta bionda e svedese, non aveva molto a spartire con l’aspetto minuto e dimesso di Gladys. S. Wellman, Gladys Aylward: Missionary to China, Barbour Publishing Inc., 1998, p. 197 – da Wikipedia.