LA LUCE IN SALA


IO SONO CON TE
18 agosto 2011, 8:47 am
Filed under: Storia sacra

Sono felicissimo (e onorato) di ospitare su questo spazio il contributo di una stimata collega blogger: Lucyette. Non cedo alla tentazione di ulteriori commenti (l’articolo parla da sé), ma mi affretto piuttosto ad un pubblico ringraziamento per l’interessamento e l’impegno speso: grazie!

(Io sono con te)

It 2010 di Guido Chiesa, con Nadia Khlifi, Rabeb Srairi, Mustapha Benstiti, Giorgio Colangeli, Fabrizio Gifuni, Mohamed Idoudi, Djemel Barek, Fadila Belkebla, Mustapha Benstiti, Carlo Cecchi…

Di Guido Chiesa, si potrebbe dire che è un regista 2.0. Ha un canale su YouTube, dove mette a disposizione degli internauti alcuni spezzoni dei suoi film. Ha un sito Internet aggiornato, con tanto di blog in cui condivide col pubblico le sue impressioni. Ha un indirizzo e-mail a cui potete contattarlo: ha assicurato di rispondervi.
Si tratta, insomma, di un regista che ama interagire col suo pubblico, per confrontarsi con gli spettatori e dialogar con loro. Non fa dunque meraviglia che, in occasione del suo lancio in DVD, il regista abbia voluto organizzare una proiezione del suo ultimo film, Io sono con te, a cui ha espressamente richiesto di poter far seguire un dibattito col pubblico.
Quel giorno, ero fra i presenti in sala.
È stato un dibattito interessante, che ha fornito agli spettatori nuove chiavi di lettura. Mi è sembrato che, per il pubblico abituale di questo blog, un piccolo “sunto” del dibattito potesse essere di particolare interesse… e dunque eccomi qua, grazie alla gentile ospitalità di Filippociak.

***

È interessante, innanzi tutto, ascoltare dalla viva voce degli autori la genesi di questo film.
Io sono con te nasce un pomeriggio di tanti anni fa, davanti a una scuola. Due mamme, che aspettano il suono della campanella per portare a casa i bimbi, incominciano a chiacchierare fra di loro, per far passare il tempo. Discutono di maternità, di bambini, e della fatica di educare i figli.
A un certo punto, una delle due mamme, che è cattolica, comincia a parlare di Maria di Nazareth. La porta come esempio di mamma ideale, citando passi evangelici che lasciano intravvedere come la Vergine Maria adottasse una pedagogia del tutto particolare, (e molto innovativa, per l’epoca!), nei confronti di suo Figlio.
L’altra mamma, che è atea, ascolta folgorata. Naturalmente conosceva anche lei i principali passi evangelici, ma non aveva mai pensato alla Madonna sotto questo punto di vista.
Tornata a casa, ne parlerà con il marito.
Il marito, molto colpito da queste suggestioni, deciderà di girarci sopra un film.

(E… a proposito. Il film porterà con sé, per i due sposi, anche il dono della conversione).

***

Io sono con te, effettivamente, è la storia di una mamma.
Come avrebbe potuto, Gesù di Nazareth, diventare l’uomo che è diventato, senza l’appoggio di una Mamma meravigliosa e completamente al di fuori dell’ordinario?
E del resto: se avevano la consapevolezza di star allevando il Salvatore del Mondo, come avrebbero potuto, Maria e Giuseppe, punire il figlio con la violenza, o magari soffocarlo con un affetto troppo opprimente?
Alle radici di Gesù, secondo l’interpretazione di Guido Chiesa, sta una Mamma che non ha avuto paura di sfidare le convenzioni, per fornire al suo Bimbo una educazione (più) completa e valida.

Per portare avanti questa tesi, il regista si serve del testo evangelico ma anche di alcune suggestioni esterne, che arrivano da esperti che hanno decisamente poco a che vedere con l’esegesi biblica.
È il caso, ad esempio, di Alice Miller, una psicoterapeuta ebrea polacca che si è dedicata per molti anni allo studio delle violenze sull’infanzia. Guido Chiesa cita anche Michel Odent, un ostetrico francese che da tempo si batte per la de-medicalizzazione del parto e per il superamento di quell’atteggiamento secondo cui la gravidanza e il puerperio sono una sorta di “malattia”.
Entrambe gli studiosi, sorprendentemente, hanno citato Maria nei loro saggi – in termini innovativi, niente affatto blasfemi, ma capaci di farci intuire che tipo di donna potesse essere la Vergine. Ad esempio, Odent, battendosi contro l’eccessiva medicalizzazione della gravidanza, cita la nascita di Gesù come uno straordinario esempio di parto naturale. La Vergine ha partorito da sola, in un locale certamente non attrezzato, e senza neanche avvalersi dell’ausilio di una levatrice… e non si può certo dire che il risultato abbia lasciato a desiderare!

Il parto di Maria. Scena tratta dal film.

O ancora: la Miller cita la fuga di Gesù nel Tempio come un perfetto esempio di pedagogia improntata alla comprensione, e non alla violenza: Maria e Giuseppe, una volta ritrovato il figlio, non lo puniscono con uno schiaffo, ma gli chiedono “perché?”. Quanta differenza fra la comprensione di Maria e la rabbia cieca di alcuni compagni di viaggio, che nel film sarebbero disposti a dare a Gesù una bella lezione… ricorrendo anche alle verghe!


Per un po’ di farina: una scena dal film.
La giovane Maria, ancora incinta, prende le difese di un bambino della famiglia di Giuseppe, duramente punito per aver toccato il pane per il Tempio senza aver compiuto le abluzioni rituali. Il regista vuole mettere in evidenza, in questa scena, alcune caratteristiche della pedagogia mariana, fra le quali spicca innanzi tutto una forte critica alla violenza sui bambini (“per un po’ di farina?!”, protesta incredula la Vergine, quando il bambino viene picchiato da un parente). Comincia a farsi strada, inoltre, una visione della religione che porta ad un superamento delle regole più rigide dell’Ebraismo, ormai diventate arcaiche e inutili. Si veda a questo proposito un’altra scena, in cui Maria, cercando Gesù disperso a Gerusalemme, ritorna con la mente ai dubbi e alle perplessità che suo figlio aveva espresso, lungo gli anni, circa alcune tradizioni della legge rituale ebraica.



Si noti peraltro che sarà proprio Maria, riflettendo sulla psicologia di suo figlio, a capire dove possa essere il ragazzo… a differenza degli altri parenti, che non si preoccupano di capirlo, ma solamente di trovarlo.

In un’operazione decisamente inusuale, Io sono con te accoglie e sviluppa queste suggestioni.
Il risultato è un’opera che indaga i grandi problemi della maternità, dell’educazione, e del rapporto madre-figlio, in una innovativa, pacata e costante lotta della Vergine per arrivare ad una educazione più moderna, più giusta, e più umana. Forse, con una madre diversa da Maria, Gesù non sarebbe diventato l’adulto che è diventato. E allora, acquista improvvisamente un nuovo valore il sottotitolo di questo film: perché la nostra scala di valori, forse, oggi sarebbe diversa, se non fosse stato per Maria. Maria, “la ragazza che ha cambiato il mondo”.

***

Il film sorprende, anche perché porta avanti una interpretazione innovativa servendosi di episodi universalmente noti, ben presenti a ogni fedele. Le scene principali del film, in effetti, sono le stesse che si trovano nei Vangeli canonici: concepimento virginale, visita a Elisabetta, nascita a Bethlemme, incontro coi Re Magi, e fuga di Gesù nel Tempio. L’unico elemento che si avvicina alla tradizione apocrifa è la presenza di un Giuseppe già vedovo e con figli: il regista nega però di essersi volutamente rifatto ai Vangeli non canonici, avendo introdotto questo elemento soprattutto per ragioni di verosimiglianza storica.
A un primo impatto, nonostante ciò, il film può sorprendere. C’è una Natività senza pastori, una grotta senza cometa; c’è una Annunciazione che è data per scontata, senza mai mettere in scena l’angelo. Guido Chiesa, nel tentativo di analizzare la vita di Maria in tutta la sua concretezza più terrena, rinuncia volutamente a tutti quegli elementi che potrebbero dare al film un’atmosfera – mi si passi il termine – più “favolistica”. E del resto, l’autore non richiede neppure un atto di fede, rivolgendosi infatti anche a un pubblico di non-credenti.
Il proposito del film, del resto, non è quello di fornire letture teologiche o approfondimenti spirituali: lo scopo è, semmai, quello di riportare la nascita e la maturazione di Cristo nella sua natura, concretissima e tangibile, di evento storico. Evento storico di un bambino che nasce in una famiglia, che viene educato in un certo modo, e che infine diventa adulto, pronto per cambiare il mondo.

Un film che descrive un evento storico, dunque, in tutta la sua concretezza più terrena.
Anche perché – come sottolinea il regista – “se non fosse stato per questo evento storico, non ci sarebbe stato neanche il Cristianesimo”.



LA PASSIONE DI CRISTO
22 aprile 2011, 4:20 PM
Filed under: Cattolici, Film, Storia sacra

(The Passion of the Christ)

Usa, Italia 2004, di Mel Gibson, con James Caviezel, Maia Morgenstern, Sergio Rubini, Claudia Gerini,Monica Bellucci, Rosalinda Celentano, Luca Lionello…

La Passione di Cristo è divenuto, sin dal momento della distribuzione nelle sale, un film imprescindibile per tantissimi cristiani. Ideale per riconcepire anno dopo anno i contorni di un sacrificio reale quanto passibile di astrattismo, e dal quale la storia tutta è stata rivoltata come un guanto. Non credo sia possibile, a distanza di sette anni, scrivere o elaborare concetti che sappiano di nuovo, rivelare retroscena trascurati, proporre una valutazione che non sia debitrice di quanto è già stato detto sia dai detrattori che dai promotori. Una cosa è comunque certa… tutto ciò non è per nulla sufficiente a spostare la mia attenzione su qualcos’altro, dal momento che un film così importante (sia per la storia del cinema che per la dimensione spirituale di ognuno) non può e non deve mancare nel piccolo progetto de La Luce in sala. È il momento centrale della storia umana: il mondo non sarà mai più lo stesso dopo quelle dodici ore di strazio, e il film scorre infatti nella consapevolezza di un bisogno di maestà delle immagini, dei ritmi, delle atmosfere. L’impronta è decisamente celebrativa, non in termini di tributo (che avrebbero potuto rendere il tutto troppo artificiale o retorico), ma piuttosto imbevuta di una manifesta consapevolezza dell’inaudita importanza di quel momento: un’importanza non personale per il regista (o meglio, non principalmente), ma cosmica, universale, pre-escatologica.

Ricordo molto bene nel periodo antecedente l’uscita nelle sale come la gente esclamasse, con un misto di incredulità e noia: ancora?!? In effetti l’esclamazione potrebbe essere legittima: di film su Cristo e il suo percorso di Rivelazione ce ne sono parecchi. E allora? Che cos’ha la Passione targata Gibson di così speciale? Iniziamo col dire qualcosa di superficiale: l’attualizzazione estetica. La Passione parla così bene perché comunica secondo lo stile e i modi delle sensibilità più aggiornate. Si tratta solamente di una constatazione squisitamente tecnica e visiva, ovviamente. Le immagini sono nitide, fresche… popolate di suggestioni efficaci proprio per il pubblico di oggi. Basterebbe la sequenza nell’orto degli ulivi per rendersene conto: un Cristo umanissimo tentato come ognuno di noi di disperazione, un demonio agghiacciante sospeso magistralmente tra fascino e grottesco, l’azione delle guardie e i discepoli che rallenta senza uniformità per porre i giusti accenti sulle mosse della guerriglia, il sibilo metallico delle lame, il contrasto superbo tra i blu della notte e l’oro delle fiaccole, il fischio doloroso dell’orecchio che viene reciso. Insomma, potrei continuare per ogni minuzia del film…

Il secondo aspetto da considerare è la fortissima impronta cattolica di questa trasposizione. Largo spazio viene lasciato a Maria, anche cinematograficamente co-protagonista della storia della salvezza; vengono inoltre riportati passaggi nodali dei Vangeli con la felice scelta del flashback che, oltre a punteggiare la Passione di rimandi teologici e mnemonici che aumentano il complesso di emozioni, fanno del film una trascrittura dell’interpretazione dei fatti, appunto, cattolica. Ecco allora un’ ultima cena che manifesta il senso intrinseco dell’Eucaristia, che ricalibra anche visivamente il concetto di “pane” e “vino”, la lavanda dei piedi, la rpofezia del rinnegamento di Pietro… Da considerare poi la presenza di episodi e personaggi esclusivamente legati alla tradizione, come la pietosa Veronica, il convertito Cassius – poi S. Longino -, brani tratti dalla penna della beata Anna Katharina Emmerick (come il dono dei panni candidi da parte di Claudia Procula alla Madonna, o la figura di Abenader, braccio destro di Pilato poi fattosi battezzare).

L’aderenza all’intero testo evangelico (arricchito tutt’al più con quanto accennato sopra) diviene garanzia della coerenza del messaggio: Cristo è Dio e uomo assieme, entrambe le sue nature si delineano concretamente; schiacciante quella umana che geme per un dolore intollerabile, dapprima tremula quella divina (tarpata perfino dall’abisso fosco del limite umano), struggente poi nella misericordia impossibile del “Padre perdonali perché non sanno quello che fanno”, confermata se possibile a sorpresa (dopo un dolore che ha fatto vacillare ogni speranza), nella resurrezione che resterà, per sempre, lo scandalo felice della natura biologica e la rivelazione umanamente inconcepibile dell’amore soprannaturale. I vari passaggi sono limpidi, credibili, coinvolgenti. Nel film c’è tutto, e tutto arriva a toccarci.

Lodevole a mio parere la costante sensazione di semplicità, schiettezza, debitrice di rimandi colti all’arte figurativa di Caravaggio (nei giochi di chiaroscuro, nelle posture di alcune figure) e di Michelangelo, (nella Pietà). Non vi sono mai insistenze visive, compiacimenti formali; quasi tutto fluisce nella costruzione di una catarsi crescente con solo alcuni piccoli impacci (volendo proprio limare una lode altrimenti sperticata) nel descrivere il percorso discendente di Giuda, o la natura blasfema del ladrone irrisorio. Il parlato in aramaico e latino non ostacola una percezione che si abbevera principalmente alle sole immagini (i sottotitoli non erano nemmeno previsti dal regista, che ha ceduto dopo le pressioni della produzione), mostrando una duplice finalità di realismo storico e di manifesta insofferenza a una comprensione del parlato che, nell’idea del regista (fedele a una tradizione liturgica in lingua latina) è sempre secondario rispetto al senso ultimo, e congeniale osserverei, nel creare quell’intercapedine mentale per lo spettatore che deve percepire la divinità intuendone, aldilà del percorso terribilmente terreno, lo stacco da ciò che sarebbe troppo convenzionale, vicino, appiattito dall’intelligibilità istantanea.

Tutti sanno che le critiche più massicce rivolte al film si lasciano racchiudere in sole due parole: violenza e antisemitismo. Dato che ormai il dibattito è esausto, sbrigo più per dovere di completezza che per altro, un paio di osservazioni. La violenza è minore di quella che ci si aspettava, e probabilmente persino di quella che fu realmente (cosa vogliamo dire dei 5480 “colpi” riportati da Santa Brigida di Svezia, allora? -Tiro in ballo la santa per discuterne coi detrattori cattolici, ovvio- o più prosaicamente della reale entità degli effetti di una tortura con strumenti che sono documentati?). L’epoca in cui si metteva sulla croce un adone pressoché intatto romantico e malinconico, senza il coraggio di prendere atto della ferinità umanissima che stava dietro alle pratiche “dissuasive” dei romani, mi sembra onestamente qualcosa di inutilmente pacato, letterario, che risente acriticamente della tradizione classicheggiante. Non sto dicendo che il film sia proponibile ai bambini sotto ai 14 anni, non sto dicendo di non chiamare la violenza per nome, ma sto dicendo che quella brutalità è, con tutta probabilità, stata almeno di tale entità. Anche sull’antisemitismo è stato detto tutto. Sbollentati i furori delle prime proiezioni sono rimaste le parole proporzionate di rabbini per nulla sconvolti, considerazioni sulla istupidita bestialità dei romani e sulle sfaccettature di un popolo rappresentato sia da Caifa (odiato e sul quale giravano ballate denigratorie*) che da altri membri del Sinedrio oltraggiati da quanto avviene, una folla urlante irragionevole (nella quale ognuno di noi potrebbe riconoscersi) e, infine, un ventaglio di figure eroiche tutte ebree (Veronica, Maria, la Maddalena, Simone da Cirene, Giovanni, Pietro, il buon ladrone…). Su un piano più interno, cinematografico, mi sentirei di appoggiare eventualmente una giustificazione tecnica, come offerta da Don Dario Viganò: “Se nel film possono darsi eventuali sottolineature problematiche credo siano legate ad una esigenza di stampo drammaturgico nel senso che il cinema necessita di ruoli ben definiti perché la storia vada avanti.*

Insomma, La Passione di Cristo è un film che è stato, e forse non è già più (superato lo scoglio dell’arrivo), problematico. Superati gli eccessi della critica avversa e assestatosi il parere del pubblico, credo si possa dire che questo film è veramente un brano evangelico in immagini.

Si è voluto infierire, a suo tempo, a livello teologico, sostenendo che una fissazione sul sacrificio, sulla violenza (in sfavore di una resurrezione relegata negli ultimi tre minuti) fuorviasse il vero senso della rivelazione. Non mi sembra. Anzi, essendo il titolo La Passione di Cristo, trovo il narrato coerente alle aspettative. Inoltre la discrepanza fra tempo della tortura e tempo della vittoria mi ha sempre dato l’idea di una divisione geniale fra tempo ante e dopo salvezza. Il tempo della tortura, precedente alla rivelazione, è lungo, impervio, sofferente, il tempo della risurrezione è il nostro tempo, quello che scorre ancora nel momento in cui usciamo dal cinema o spegniamo il televisore. Gli ultimi tre minuti sono centrali nel film, non sono alla fine! Semplicemente proseguono oltre quanto è raccontato dal film (e dal Vangelo stesso in una certa misura). Cristo si alza e… incontrerà la Maddalena; Cristo si alza, ed è con noi.

Le cose da aggiungere sono veramente (ma veramente!) infinite: cosa dire della scena che personalmente trovo più intensa? Quella della deposizione quando la straordinaria Maia Morgenstern (attrice ebrea il cui cognome tedesco significa incredibilmente -casualmente?- “Stella del mattino”) accoglie il corpo delfiglio fra le braccia fissando ognuno di noi, lungamente, negli occhi? Cosa dire delle innumerevoli conversioni sul set? Dei due fulmini caduti sul luogo delle riprese? Del post-film travagliato di Mel? Della posizione entusiastica di Messori e della risposta piccata di Zeffirelli? Degli incassi stratosferici? Beh… forse ci torneremo su in un altro, futuro approfondimento. Intanto vi lascio a meditare, in vista della Pasqua, in questo Venerdì Santo. Alla prossima.



NATIVITY
20 dicembre 2010, 7:24 PM
Filed under: Film, Storia sacra

(The Nativity Story)

USA, 2006, di Catherine Hardwicke, con Shohreh Aghdashloo, Keisha Castle-Hughes, Eriq Ebouaney, Ciarán Hinds, Oscar Isaac, Matt Patresi, Ted Rusoff.

Inevitabile che, come primo post natalizio, scegliessi per “la Luce in sala” il più recente contributo cinematografico sulla natività… anche a costo di sembrare (anzi, essere) prevedibile. Il film rientra nel processo (speriamo non già terminato) di rivisitazione dei grandi classici sacri, iniziato con “The Passion of the Christ”, (Mel Gibson, 2004) e trasmette infatti la sensazione di trovarsi di fronte a una sorta di… prequel. Il film è indicatissimo proprio per comprendere meglio ad ogni Natale, il Mistero, e recuperare così la giusta atmosfera, il giusto significato di questo periodo di grazia.
Le vicende narrate iniziano due anni prima della venuta al mondo del Messia, a Nazareth, un minuscolo villaggio serrato nella morsa romana, e ricostruito scenograficamente con cura meticolosa. Maria si presenta ai nostri occhi come una figura quasi algida, e se questo da un lato ce la rende poco vicina, dall’altro ce ne fa intuire la maestà immanente ancora nascosta. Le viene imposto in matrimonio Giuseppe, un ragazzo che lei non ama, e che subito non le è facile accettare. Di lì a poco, all’improvviso, ci sarà il momento catartico dell’annunciazione, sotto ad un ulivo e in pieno giorno, con la visita di un Arcangelo passante, forse troppo terreno. Bisogna notare infatti che il film è quasi completamente slegato da tutto un sistema di simbologie o esaltazioni auliche, che tradizionalmente entrano in gioco nel filone religioso. Qui la ricerca del sacro non è metafora, bensì forte ricostruzione, (grazie alla cura dei dettagli, il corrente riferimento alle Sacre Scritture, l’indagine sociale del contesto e l’impostazione di dialoghi ed episodi minori del tutto plausibili). Se si eccettua il fascio luminoso di rappresentanza che carezza il luogo del miracolo, persino il volo spirituale della colomba angelica, o lo strisciare sull’acqua della serpe luciferina (era una tentazione troppo forte inserirla) sono formalmente solo quello che appaiono.
Il film, secondo me, risulta particolarmente riuscito nel momento del viaggio: durante la fatica dello spostamento verso Betlemme si va costruendo un’immagine della Sacra Famiglia di toccante veridicità; ne guadagna in particolare l’eroica figura di Giuseppe, spesso lasciata un po’ in disparte, e qui dipinta con delicatezza

Quello che mi chiedo è... se sarò mai in grado di insegnarGli qualcosa...

come fondamentale principio attivo per la salvezza del mondo. Particolarmente intensi alcuni dialoghi fra i giovani sposi, manifestanti una consapevolezza serena dell’enormità che stanno vivendo, della loro responsabilità cosmica, dell’infinito dolore degli anni che dovranno inesorabimente venire. È molto bello vederli muoversi come protagonisti della Storia (intendo quella umana), in un mondo concitato dall’attesa. Simpatico il trio persiano dei Magi, che intervalla le vicende più importanti con la leggerezza di alcuni dialoghi divertenti, mentre un Erode di stoica bramosia crede di poter deviare il piano divino con un gioco di stupida crudeltà.
Molto bella la scena centrale del presepe cinematografico, introdotta dall’iniziale cieca inospitalità degli abitanti di Betlemme, e poi sostenuta dagli omaggi dei pastori richiamati dall’angelo e, soprattutto, i doni dei Re Magi, che dipingono un alone di sofferenza sul futuro, ma contemporaneamente un vivido ritratto della speranza che il Natale viene a portare. Non c’è troppo tempo per l’idillio, occorre subito fuggire in Egitto: il dopo Cristo è iniziato.

La suggestiva rappresentazione della Sacra Famiglia