LA LUCE IN SALA


GUAI CON GLI ANGELI
30 dicembre 2010, 6:37 PM
Filed under: Cattolici, Di ispirazione, Film

(The trouble with angels)

USA, 1966, di Ida Lupino, con Rosalind Hussel, Hayley Mills, Binnie Barnes, Gipsy Rose Lee.

Un film leggero leggero tutto al femminile, per ridere e sorridere ma anche per cogliere un accenno garbato ai valori di vita e fede delle comunità religiose. Guai con gli angeli è uno di quei piacevoli intrattenimenti che si vede una volta per caso, da bambini o ragazzi e poi, stampatosi nella memoria, rimane un appuntamento piacevole ad ogni passaggio televisivo (ahimè rarissimo). Ha tutto il piglio della commedia per adolescenti, i toni distesi di una “simpaticheria” ambientata fra le mura, benevolmente austere, di un collegio retto da una preside/madre superiora dal viso severissimo (contesto ideale per un susseguirsi di marachelle ed appunto, i “guai” del titolo). Mary Clancy (alias Kim Novak) e Rachel Devery (alias Fleur De Lis) formano un duo affiatatissimo sin dal viaggio in treno che le condurrà alla loro nuova scuola, l’edificio (addirittura neomedievale) sede del convento di San Francesco. Forse i ragazzi di oggi lo troverebbero di scarso appeal, ma vi assicuro che la formula “collegiale”, (ricordiamo solo l’emblema: L’attimo fuggente, Peter Weir, 1989) un riuscito impasto di complicità studentesca, desiderio di ribellione ed emancipazione, scontro generazionale, risulta efficace anche qui, nonostante l’approccio deliberatamente scherzoso.

I due peperini danno fondo a tutto il campionario del genere, le fumate trasgressive, gli scherzi più o meno pesanti, le battute, le fughe, il generale sentimento di insofferenza per le regole… ma in tutto questo Mary, la vera protagonista di cui Rachel è spalla, lascia vagare il proprio sguardo oltre la finestra del dormitorio, in ascolto, in pensiero, per decidere di quanto lo spettatore non può sospettare concretamente dato il timbro scanzonatissimo del film. Quello tra spasso e religione è un connubio raro e per questo prezioso (il film apre infatti la strada, nell’epoca post Kennedy e post concilio Vaticano II, ad operazioni di “svecchiamento” dell’immagine cattolica, come la sit-com The flying nun, MaxWylie, Bernard Slade, 1966 e, ovviamente, Sister act, Emile Ardolino, 1992), e così lo sfondo dell’azione scapigliata (con un pizzico di femminismo) addita un microcosmo di armonia ed efficienza, sfumato di una spiritualità senza insistenze, ma fermissima al punto da dare un senso tutt’altro che superficiale agli scatti d’ira di Mary, vivente dunque non solo lo stato d’animo dello spirito immaturo, ma anche un bellissimo e struggente conflitto interiore. Ritengo che le vicende narrate facciano di questo lungometraggio un’efficace opera di formazione, indicatissima per proiezione di carattere scolastico o catechistico.

La convincente verità dell’atmosfera cameratesca fra le ragazze è l’elemento più notevole fra tutti, derivante del resto dall’esperienza reale della scrittrice Jane Trahey trasposta nel romanzo Life with Mother Superior. Curiosa la presenza di più attrici fra le suore del convento che rivestiranno i panni monastici in futuro (in particolare Mary Wickes, Suor Clarissa, l’insegnante di ginnastica, sarà Suor Maria Lazzara in Sister Act). Il film ebbe buon successo e ne venne confezionato un sequel: Where Angels Go, Trouble Follows, James Neilson, 1968, mai proposto in Italia. Auguro a tutti di riuscire a ripescare Guai con gli angeli, sarebbe un vero peccato non averlo mai visto! La versione in lingua è facilmente recuperabile sui motori di ricerca statunitensi. Sono sempre disponibile a fornire indicazioni più precise. Alla prossima!



IL MONDO INVISIBILE: PRIME IMMAGINI
28 dicembre 2010, 6:54 PM
Filed under: News

Ecco quelle che potrebbero essere le prime immagini dal prossimo film (le prime in cui sono incappato – fonte),  probabilmente visionabile  dal prossimo giugno, di Liana Marabini. Ne ho parlato in un post qualche tempo fa: è dedicato alla vita del neo-beato (19 settembre 2010) John Henry Newmann (1801-1890). Non si tratta di un vero e proprio trailer,  ma piuttosto di un saggio, abbastanza esteso, dell’impostazione generale del film: si notano la cura per le scenografie, la ricostruzione storica, la bravura degli interpreti, il taglio dato alla trasposizione in immagini della biografia del beato. Pare che i lavori siano a buonissimo punto! Aspettiamo ancora.



THERESE
28 dicembre 2010, 8:00 am
Filed under: Agiografici, Cattolici, Film

(Thèrése)

Francia, 1986, di Alain Cavalier, con Catherine Mouchet, Helene Alexandridis, Aurore Prieto…

Questo film utilizza un linguaggio visivo particolarissimo, creando una sorta di ibrido tra la rappresentazione teatrale d’avanguardia, con spazi che nell’atto di astrarre gli ambienti richiamano il palcoscenico privo di fondali, e la selettività dello sguardo registico, filtrato dall’obiettivo. È una scelta estetica che insiste nello spiritualizzare una trasposizione altrimenti molto concreta (quasi laica) sul piano contenutistico, della biografia della grande mistica Teresa di Lisieux. Mi sembra che si sia voluta una serietà storica aprioristica, prendendosi però la licenza di alludere al senso nascosto di quanto viene detto, negando la componente obbligatoria di ogni discorso storico: il contesto fisico. Il collocare gli oggetti come particelle precise di un discorso scenico, nel vuoto grigio-verde indistinto di pareti e pavimento, all’inizio può risultare difficile da tollerare (dato che lo stratagemma si presenta in modo molto dirompente, apparendo come un forzato virtuosismo stilistico), ma dopo pochi minuti scopriremo quanto la nostra concentrazione sull’ottimo lavoro degli interpreti, sull’intensità di quanto accade, ne guadagni innegabilmente. Desueto anche il gioco del montaggio, che pausa con stacchi a ritmo altalenante (talvolta sincopato) il susseguirsi delle inquadrature, quest’ultime ricche di prime piani, di momenti riflessivi sui particolari, sui gesti, sulla sensualità di alcune interazioni umane, secondo gli stilemi dal sapore tutto francese.

All’inizio Teresa ci viene presentata come una bambina, come un’ingenua creatura che vive della suggestione di voler imitare le sorelle maggiori. Subito proviamo simpatia per lei, per la sua immensa bontà, ma non siamo tuttavia disposti a credere seriamente nei suoi propositi. La cosa cambia bruscamente al suo effettivo ingresso in convento, (e il film è abile nel mostrarci le gioie, ma soprattutto le sofferenze e le “insopportabili” costrizioni della vita monastica) allorché prendiamo veramente coscienza di quanto quella fanciulla fosse totalizzata nei suoi intenti, e come quella che inizialmente ci appariva una “cottarella”, fosse invece la più assoluta forma d’amore. La narrazione descrive con cura l’intensità dell’amore della santa senza mai essere stucchevole, ed anzi trovando il tempo per argomentare su vari aspetti della clausura, in particolare quello delicatissimo (pericoloso persino) della “distorsione” spirituale di una consorella coetanea alla protagonista, la quale, in alcune occasioni, arriva a turbarci seriamente per dare conto di questioni psico-antropologiche comunque presenti nell’ambito di una religiosità assolutizzata (almeno da un punto di vista esterno/obiettivo). Ciò, a parer mio, concorre a definire Teresa, per contrasto, in modo ancora più puro, sincero, centrato nella verità, prima insinuando, poi debellando, il dubbio che anch’ella sia soggetta a qualcosa di tristemente simile. Tantissimi i momenti che regalano uno sguardo profondissimo su tanti e tanti aspetti di una cattolicità vissuta sopra e sotto la pelle: la fatica, la malattia e la sofferenza, la riluttanza al potere…

Ricordiamo un momento fra tutti? Lo sconvolgente dialogo tra il medico che vuole prescrivere la morfina a una Teresa tubercolitica, e la Madre superiore che glielo vieta:-Una carmelitana è sulla terra per soffrire come il suo sposo. -Per lui è durato un giorno solo. -Lui sarà in agonia fino alla fine dei tempi, per me, per voi, per i peccati di tutti. -E’ orrenda la sofferenza… -Non qui da noi. -Se la gente lo sapesse vi brucerebbe il convento. -Cercheremo di non scottarci […] -Avvertirò i suoi genitori. -Sono morti. -Siete pericolosa. -Siamo il sale della terra.



LE CAMPANE DI SANTA MARIA
26 dicembre 2010, 3:15 PM
Filed under: Cattolici, Di ispirazione, Film

(The Bells of St. Mary’s)

USA, 1945, di Leo McCarey, con William Gargan, Bing Crosby, Ingrid Bergman, Henry Travers.

Una piccola operazione di “archeologia cinematografica” alla riscoperta di un titolo da molto dimenticato, e particolarmente indicato per il periodo natalizio. Se dicessi che “Le campane di Santa Maria” non richiede un piccolo sforzo per essere visto fino in fondo… mentirei, dato che appare evidente come sia il risultato di una sensibilità old-style, piuttosto superata. L’inizio promette molto bene: l’ottimismo di Padre O’ Malley, appena arrivato alla parrocchia di Santa Maria, viene moderatamente smorzato dalle allusioni della perpetua che lo accoglie, le quali si riferiscono a un clima pesante (se non addirittura avvelenato), da imputare all’indole delle suore che gestiscono la scuola parrocchiale. Beh, non è affatto così… dato che quello che viene inizialmente annunciato come un conflitto insormontabile, si rivelerà nello sviluppo dell trama un semplice insieme di leggerissime scaramucce, dialoghi pregni di bon ton, posizioni differenti ma mantenute con reciproco rispetto e compostezza, fra i due protagonisti: Suor Benedict (una bellissima Ingrid Bergman, piena di nobiltà e concreto spirito materno) direttrice dell’istituto, e Padre O’Malley (il simpatico, ma a tratti fastidiosamente sornione, Bing Crosby).

Il film inanella una serie di scenette che vanno dal tenero al commovente allo “scalda-spirito”, tentando l’incastro di tre semplici nuclei narrativi (il rapporto fra i due religiosi, il rapporto col ricco e naturalmente avaro Mr. Bogardus, la situazione famigliare poco felice della giovane allieva Patsy), conditi con momenti musicali brevi e piacevoli, inseriti qui e là con non sempre disinvolta pianificazione dell’intrattenimento. Nonostante queste osservazioni, il film risulta godibile, nonché memento prezioso degli anni in cui mettere al centro della trama figure di religiosi, descritte con incrollabile positività, non veniva considerato un crimine artistico. Il personaggio più divertente è certamente Mr. Bogardus, che sebbene non proposto con eccessiva coerenza, (dato il repentino capovolgimento di posizioni che subirà nel film, con una consequenzialità da favola natalizia), regala alcuni momenti veramente divertenti: lo stato confusionale che gli procura il richiamo della coscienza, l’episodio (che non rivelo per mantenerlo una sorpresa) immediatamente seguente l’annuncio della sua enorme opera caritativa, nonchè la finale laconica richiesta sulle detrazioni fiscali che spettano ai benefattori.

Da notare infine, e soprattutto, come non vada sprecata l’occasione per spendere alcune parole importanti sul senso della rinuncia monastica, descritta in modo esemplare dall’incantevole Suor Benedict. Il film non è attualmente disponibile in commercio, essendo fuori catalogo, ma se volete vederlo forse potrete rinvenirlo in qualche videoteca pubblica, presso qualche centro culturale o religioso. Qui sono disponibili i link Megaupload e Rapidshare per scaricare la versione in lingua originale. (Chi lo desidera può inviarmi una richiesta per ottenere i sottotitoli in italiano.)



SANTO NATALE 2010
24 dicembre 2010, 9:36 PM
Filed under: Personal

Carissimi lettori de la Luce in sala, vi ringrazio per la vostra attenzione e vi auguro, col cuore, un sereno Santo Natale.



NATIVITY
20 dicembre 2010, 7:24 PM
Filed under: Film, Storia sacra

(The Nativity Story)

USA, 2006, di Catherine Hardwicke, con Shohreh Aghdashloo, Keisha Castle-Hughes, Eriq Ebouaney, Ciarán Hinds, Oscar Isaac, Matt Patresi, Ted Rusoff.

Inevitabile che, come primo post natalizio, scegliessi per “la Luce in sala” il più recente contributo cinematografico sulla natività… anche a costo di sembrare (anzi, essere) prevedibile. Il film rientra nel processo (speriamo non già terminato) di rivisitazione dei grandi classici sacri, iniziato con “The Passion of the Christ”, (Mel Gibson, 2004) e trasmette infatti la sensazione di trovarsi di fronte a una sorta di… prequel. Il film è indicatissimo proprio per comprendere meglio ad ogni Natale, il Mistero, e recuperare così la giusta atmosfera, il giusto significato di questo periodo di grazia.
Le vicende narrate iniziano due anni prima della venuta al mondo del Messia, a Nazareth, un minuscolo villaggio serrato nella morsa romana, e ricostruito scenograficamente con cura meticolosa. Maria si presenta ai nostri occhi come una figura quasi algida, e se questo da un lato ce la rende poco vicina, dall’altro ce ne fa intuire la maestà immanente ancora nascosta. Le viene imposto in matrimonio Giuseppe, un ragazzo che lei non ama, e che subito non le è facile accettare. Di lì a poco, all’improvviso, ci sarà il momento catartico dell’annunciazione, sotto ad un ulivo e in pieno giorno, con la visita di un Arcangelo passante, forse troppo terreno. Bisogna notare infatti che il film è quasi completamente slegato da tutto un sistema di simbologie o esaltazioni auliche, che tradizionalmente entrano in gioco nel filone religioso. Qui la ricerca del sacro non è metafora, bensì forte ricostruzione, (grazie alla cura dei dettagli, il corrente riferimento alle Sacre Scritture, l’indagine sociale del contesto e l’impostazione di dialoghi ed episodi minori del tutto plausibili). Se si eccettua il fascio luminoso di rappresentanza che carezza il luogo del miracolo, persino il volo spirituale della colomba angelica, o lo strisciare sull’acqua della serpe luciferina (era una tentazione troppo forte inserirla) sono formalmente solo quello che appaiono.
Il film, secondo me, risulta particolarmente riuscito nel momento del viaggio: durante la fatica dello spostamento verso Betlemme si va costruendo un’immagine della Sacra Famiglia di toccante veridicità; ne guadagna in particolare l’eroica figura di Giuseppe, spesso lasciata un po’ in disparte, e qui dipinta con delicatezza

Quello che mi chiedo è... se sarò mai in grado di insegnarGli qualcosa...

come fondamentale principio attivo per la salvezza del mondo. Particolarmente intensi alcuni dialoghi fra i giovani sposi, manifestanti una consapevolezza serena dell’enormità che stanno vivendo, della loro responsabilità cosmica, dell’infinito dolore degli anni che dovranno inesorabimente venire. È molto bello vederli muoversi come protagonisti della Storia (intendo quella umana), in un mondo concitato dall’attesa. Simpatico il trio persiano dei Magi, che intervalla le vicende più importanti con la leggerezza di alcuni dialoghi divertenti, mentre un Erode di stoica bramosia crede di poter deviare il piano divino con un gioco di stupida crudeltà.
Molto bella la scena centrale del presepe cinematografico, introdotta dall’iniziale cieca inospitalità degli abitanti di Betlemme, e poi sostenuta dagli omaggi dei pastori richiamati dall’angelo e, soprattutto, i doni dei Re Magi, che dipingono un alone di sofferenza sul futuro, ma contemporaneamente un vivido ritratto della speranza che il Natale viene a portare. Non c’è troppo tempo per l’idillio, occorre subito fuggire in Egitto: il dopo Cristo è iniziato.

La suggestiva rappresentazione della Sacra Famiglia



BBC: CANTO DI NATALE?
19 dicembre 2010, 12:19 PM
Filed under: News, Piccolo schermo

La nota emittente anglosassone,

Tatiana Maslany, Maria, e Andrew Buchan, Giuseppe.

dalla politica spesso chiaramente anti-cattolica, trasmetterà nei giorni antecedenti il Natale una miniserie di quattro episodi sulla Natività: “The Nativity“. Le iniziative poco compatibili a questa in passato sono state numerose, per citarne alcune: la trasmissione del documentario “Sex and the Holy City”, che intenzionalmente falsava le posizioni della Santa Sede sull’uso del preservativo, la messa in onda dello spettacolo “Jerry Springer the Opera”, che non perde ogni occasione per ridicolizzare il cristianesimo e la figura di Gesù, e ancora il cartone animato “Popetown”, che scherza in toni seriamente discutibili sulla figura del Santo Padre. A questo va aggiunta la scarsa visibilità prestata alle persecuzioni cristiane in Medio Oriente. (vedi R. Camilleri, BBC, in “Il Timone”, 93, XII, 2010, pp. 20-21.) Bene! Speriamo, (senza aggrapparci almeno sotto Natale al cinismo del pensare che si tratti di banchettare alla mensa dei contenuti religiosi, notoriamente ostinati nel rifiutarsi di ribassare il mercato) che sia l’indizio di una nuova, encomiabile sensibilità. Il poco che si intuisce dalle immagini sembra molto promettente! Sul sito dell’ UCCR tutte le informazioni specifiche. Qui, la programmazione.



LOST, IN CHIESA
18 dicembre 2010, 8:00 am
Filed under: Piccolo schermo

Lost (telefilm), USA, 2004-2010, 6 stagioni, 114 episodi, creato da J.J. Abrahms, con Matthew Fox, Evangeline Lily, Josh Holloway, Naveen Andrews, Jorge Garcia, Terry O’Quinn, Daniel Dae Kim, Yunjin Kim, Emilie De Ravin, Dominic Monaghan…

N.B. Quanti non conoscono Lost ma ne sono incuriositi, o semplicemente non hanno ancora visto il finale della serie, si astengano dal leggere il post di oggi: Lost ruota tutto intorno all’attesa, alla pazienza di perseverare nel voler penetrare il mistero. Merita davvero di essere visto con lo sguardo giusto, e sapere come va a finire significa privarlo del suo nucleo vitale. Avvertirò con la scritta SPOILER, dove l’articolo diventa scottante.

Lost è un prodotto televisivo di elevata qualità. Lo è al punto che alcuni hanno voluto vedervi una riscossa, da parte del piccolo schermo, dall’antico senso di inferiorità nei confronti del cinema. Io non sarei altrettanto ardito nel tesserne le lodi, sebbene sia evidente come dietro un successo di questa portata, ci sia un team creativo di primo livello, capace di impalcare un sistema narrativo a dir poco monumentale (flashback – flashforward) esoprattutto intrinseco allo sviluppo della vicenda, e non solo funzionale alla comunicazione di un messaggio. (Elemento questo che da solo faceva presentire qualcosa di a dir poco sublime.) Una congerie di personaggi, l’uno meglio indagato dell’altro, dialoghi freschi e brillanti, una trama a scatole cinesi estenuante, quasi fastidiosa ma sempre degna di pazienza, ne hanno fatto un appuntamento imperdibile, (anche perché saltare qualche episodio poteva decretare il doverlo abbandonare…) Il bello di un telefilm sta primieramente nel fatto che la storia ha a disposizione un tempo pressoché illimitato per dipanarsi, e giorno dopo giorno i personaggi divengono delle presenze familiari da ritrovare, di volta in volta, alla ricerca di uno sviluppo interiore che scorre davanti ai nostri occhi in progressione, imponendoci, ben accettato, il ruolo di confidenti privilegiati. Un film può essere altrettanto abile nel costruire questa relazione, col sovrappiù di merito del farlo in poco tempo, e tuttavia non sarà mai in grado di eguagliare, in termini di mera quantità, il numero di confidenze che ci vengono affidate, di momenti che ci vengono raccontati (anche di routine, che serve a rendere il tutto compatibile alla nostra ottica). Di contro un telefilm è stretto più forte nella morsa degli interessi economici di case di produzione o reti tv, e di anno in anno gli sarà sempre più difficile mantenere a fondamento il proprio spirito originario. Questo problema risulta evidente anche in Lost perché, andando ad osservarne i limiti, non possiamo dimenticare come, allontanato forzosamente dalla propria idea unitaria (che ne voleva uno sviluppo scrupolosamente programmato – almeno secondo quanto dichiarato – passo dopo passo, in 100 episodi) si sia perso in parentesi tiepide, in specificazioni prive di mordente, esasperando le attese e ingarbugliando (senza possibilità di ritirare i fili) una trama già sin troppo ricca e misteriosa. È un ritornello già sentito: l’arte è arte solo se è arte, ergo non può esserlo se viene diluita per infilarci più spazi pubblicitari. Da ricordare anche il fulmine a ciel sereno dello sciopero degli sceneggiatori, che ha portato a rallentamenti, problemi, decisioni da prendere sull’unghia. Da qui prende piede la critica più aspra.

La costruzione della chiesa sull'isola.

SPOILER

Quello che brucia è che per più di 100 ore abbiamo seguito una storia nella quale avevamo fiducia. Non solo speravamo, con qualche timore, che tutto alla fine trovasse un perché, un rientro logico, ma ad un certo punto ne eravamo persino certi, visto che l’avevano spergiurato i curatori della serie. Gli abbiamo creduto? Preferisco non ammettere la disfatta e dire che ero semplicemente fiducioso, ma devo dirlo: lo sono stato a sproposito! Qualcosa rientra, qualcosa no… qualcosa rimane troppo strano. Non si tratta solo di un finale aperto, (che di solito apprezzo vivamente), ma solo di un bel finale pomposo che risolve molto e in modo appetibile, ma non tutto: non tutto!

Questo compromette solo in parte la qualità del programma. Lost rimane un titolo imperativo, e tutto può essere perdonato per le moltissime trovate geniali, la bellezza di alcune scene, lo spessore di molti significati. A quali significati mi riferisco? Lost è, in definitva, un imperdibile affresco sulla presenza del bene e del male, sulla lotta costante fra due forze, esplicata episodio dopo episodio attraverso le storie di personaggi che restano ambigui fino all’ultimo momento. Contiene metafore di fascino potente, questioni esistenziali e problematiche trasmesse vividamente. In tutto ciò il cattolicesimo cosa c’entra? Il bello, l’inaspettato, il controcorrente, è proprio che c’entra, e persino parecchio. Nel lungo svolgimento dell’intera storia esso appare in posizione privilegiata: emerge dal passato di Charlie, la rockstar dal presente “sbandato”, corrotto dagli eccessi del successo ma che fu, sorprendentemente, vicino alla fede. Emerge dai ricordi di Mr. Eko, il “sacerdote” di colore che desidera costruire una chiesa sull’isola, (e ripercorre con la memoria l’incubo di un’infanzia trascorsa nell’Africa dei reclutatori di bambini soldato, ma anche del conforto dato dai missionari cattolici). Soprattutto diventa schiacciante nel finale, con l’ultima bellissima scena ambientata in una chiesa cattolica che verrà invasa, negli ultimi istanti di girato, dalla luce di Dio. Introduce a questa conclusione clamorosa un dialogo chiarificante tra Jack (il protagonista) e suo padre, all’interno di una sorta di disimpegno sia fisico che filosofico: una stanza che immette fattivamente nella chiesa, occasione per esibire un po’ sbrigativamente i simboli di tutte le religioni, bilanciando sommariamente con l’obbligatoria “par-condicio” confessionale (che rende in qualche modo digesto il tutto al grande pubblico), quella che appare, a mio avviso, come una delle più schiaccianti ammissioni di fiducia cattolica del momento contemporaneo. (E’ sottinteso: in un’enorme produzione destinata al mercato mondiale e a un pubblico universale). É un qualcosa che ha del miracoloso. Chi è l’artefice di una simile rischiosissima operazione? È chiaro che è assai difficile stabilire in che misura chi abbia deciso cosa, ma senza pretesa di individuare in una sola persona queste posizioni, osserviamo che Carlton Cuse, uno dei produttori esecutivi della serie, è cattolico praticante. Egli è stato cresciuto da cattolico, ma la sua fede ha subito un forte approfondimento nel matrimonio: sua moglie proveniva infatti da una famiglia di robusta impostazione cattolica, la quale ha rappresentato per la sua religiosità “una parte enorme del mio cammino di fede personale”, dice.

Benjamin Linus in preghiera.

Quanto dichiarato proviene da una puntata del programma radiofonico “Personally Speaking with Monsignor Jim Lisante”. Curse ha aggiunto: “ Il problema della fede e della ragione è centrale per tutte le persone religiose e che sono alle prese con la ricerca del significato della loro vita. Sembrava che questi argomenti più grandi fossero rilevanti in uno show che è una sorta d’esame della natura dell’esistenza, come Lost.” […] “Penso al riguardo che non si debba affrontare le cose in anticipo. Se ci sono questioni religiose nello show esse sono sepolte nel sostrato di un prodotto che è essenzialmente un action-adventure-drama. Penso sia tutta una questione di proporzioni, e che [le questioni religiose] non siano un martello che vogliamo dare in testa alle persone. Credo che in molti casi la resistenza delle persone alla religione nasca quando se ne sentono martellati. Penso che la religione diventi più significativa per la vita di ognuno quando questa viene raccontata in forma di storie nelle quali la gente possa ritrovarsi. Giudico sempre un’omelia dal modo in cui il prete riesce ad integrare qualsiasi lezione della settimana si trovi nel vangelo, alle storie. E quelle storie sono ciò che penso funzioni davvero per i parrocchiani, molto più di qualche genere di analisi didattica delle letture o del vangelo. Mi sento come se quello fosse il nostro ruolo di narratori, nello show, cercare di prendere i temi che sono davvero significativi per le persone e trasmetterli sotto forma di buoni racconti e storie. […] Il peccato e la redenzione sono temi centrali dello show. Ognuno di quei personaggi, a modo suo, si confronta con i problemi che tutti affrontiamo. Tutti abbiamo quei problemi dentro noi stessi, con cui lottiamo per tutta la nostra vita. Qualche volta li vinciamo, e altre volte invece dobbiamo arrenderci… Nessuno di noi è perfetto, e penso che ciò a cui le persone si possano relazionare… sia che c’è un senso di fantastico nello spettacolo, ovvero il fatto che se finisci su quest’isola, è come se potessi ricominciare da capo. E penso che sebbene questi personaggi siano pieni di difetti, essi stiano cercando la redenzione […] (Il testo è la traduzione di un discorso tenuto in forma colloquiale: ripetizioni e frasi tronche sono state ritoccate al minimo – fonte).

Parole a dir poco illuminanti. Quando Lost è inziato, promosso da tutti come un avvincente serial impastato di azione e mistero, nessuno poteva immaginare questo imprinting nascosto, quasi improponibile rispetto agli standard oggi imposti.

Non desidero dilungarmi in una faticosa opera di discernimento del significato della serie: non esiste un’interpetazione univoca, ed è bene perciò che ognuno ne elabori una personale.

In conclusione, la sensazione che l’immenso colpo di scena finale sia un espediente comodo e veloce in parte rimane, ma credo che il senso religioso (direi anche cattolico) già precedentemente sfumato, valga di per sé, e ci consenta di valutare quest’opera in modo entusiasta, (visti i moltissimi momenti di grande emozione), con la gioia di poter chiudere un occhio.



IL TERZO MIRACOLO
17 dicembre 2010, 8:00 am
Filed under: Cattolici, Di ispirazione, Film

(The third miracle)

USA, 1999, di Agnieszka Holland,con Ed Harris, Anne Heche, Armin Mueller-Stahl, Barbara Sukowa, Caterina Scorsone…

Come si fanno i santi? Il film si propone di rispondere proprio a questo interrogativo, e sono contento che la visone suggerisca queste due semplici risposte: 1) con tanto scetticismo e cautela estrema, 2) con finale rassegnazione al piano di Dio. Non ho rivelato troppo della trama, ma solo che questo film rappresenta la Chiesa come depositaria di un ruolo legittimo. Il che è di palese valore. Tuttavia non ci troviamo davanti a un lungometraggio che traduce in scintillio la dottrina: il film è molto algido nei colori, nella fotografia,negli ambienti, nei sentimenti. E fra l’altro non si risparmia di muovere alcune critiche sacrosante ad una realtà che non ci piace, ma che anche il nostro amato Santo Padre mise in luce già da cardinale (il carrierismo nella curia). Forse il film calca un po’ la mano nel mostrarci un porporato interessarsi via telefono dei risultati delle partite, sottoporsi a sedute di bellezza coi fanghi, e proclamare, inorgoglito dall’ostentata modernità: “Godersi un po’ di sana vita laica non ha mai danneggiato la carriera”. In fondo tutto viene stigmatizzato per imbastire un discorso positivo: non ci sono difetti che tengano, Dio opera attraverso la Sua Chiesa, sia che riesca a rappresentarlo al meglio, sia che di per sé conti a livello umano assai relativamente (se ci pensiamo è un discorso ottimale anche per interpretare la storia: ci sono stati Papi di moralità discutibile, eppure incrollabili nel tramandare un messaggio mantenuto impeccabilmente integro). Ma veniamo al dunque. Padre Frank Shore deve alla sua meticolosa freddezza di fronte al soprannaturale il ruolo di detective col collarino, oltre che il bel soprannome di “Ammazzamiracoli”. Egli fa parte di una stirpe cinematografica di sacerdoti in crisi, ricordo ora il celebre Damien Karras (Jason Miller, L’Esorcista, 1973) e il meno celebre Andrew Kiernan (Gabriel Byrne, Stigmate, coevo al film in questione). Shore si porta dentro il dolore di una mente molto razionale, e la colpa di avere un grande successo nel suo ruolo di rilevatore di farse. Vive a Chicago, frequentando bassifondi dove esercitare la fede diventa una virtù eroica, tanto risulta pressante l’impero della droga: ragazze ancheggiano stordite per le strade invase dal pattume, mentre ad ogni angolo giovani sovreccitati e saltellanti implorano un dollaro alla volta. Proprio fra queste realtà, in un cortile che sembra una minuscola oasi di religiosità, si verifica il miracolo di una statua della Madonna che piange sangue. Harris, ottimo interprete, barcamena il suo personaggio fra ricordi, lontananza e vicinanza a Dio, a una donna, infine a una santa, l’unica che lo costringa a decidersi per il “ritorno all’ordine”. Magnifico il tentativo (riuscito!) di indagare un lembo del piano di Dio che si rivela a tutti solo nel finale.

Mi piace questo film, semplice e senza troppi entusiasmi, perché ci dice qualcosa della Chiesa come istituzione efficiente, che distilla le verità ai fedeli con saggezza. Ci dice della necessità di applicare l’obiettività, sconnettere il nostro lato romantico, istruirsi di ogni scienza, di fronte ai miracoli. Questi esistono, ma solo Dio li fa e decide per la loro proclamazione, non altri. In questi tempi di pressioni alla Chiesa per l’uno o l’altro provvedimento, teniamolo a mente!

Un’ultima osservazione. Mi sembra che il film risponda a un sentimento di inferiorità spirituale da parte dell’America cattolica nei confronti dell’Europa. Se non è così significa che la mia visione parziale mi ha portato a fraintendere, se invece non sbaglio sono ancora più felice, assieme ai nostri fratelli americani, per il recente riconoscimento delle apparizioni di Champions (Wisconsin).

Il primo miracolo



PISTOIA: LA MOSTRA “PRETI AL CINEMA”
16 dicembre 2010, 2:08 PM
Filed under: News

 

Interessante sorpresa questa mostra fotografica: “Preti al cinema”, niente di più affine allo spirito del blog! Il desiderio di proporre fotogrammi o scatti intorno al cinema che lascia spazio alla figura sacerdotale, potrebbe fornire qualche meditazione nostalgica, qualche occasione per una contemplazione diversa di scene storiche, fissate in immagini statiche. La mostra si sposta nella bella cittadina toscana dopo le precedenti tappe (Roma, Milano, Fermo). Niente di meglio delle parole del suo promotore, il Presidente della Fondazione Ente dello Spettacolo, Dario E. Viganò, per chiarire gli intenti dell’iniziativa: “Realizzata come contributo alla riflessione in occasione dell’Anno Sacerdotale indetto dal Santo Padre Benedetto XVI, la mostra si pone ancora una volta come obiettivo quello di coinvolgere una fetta sempre maggiore di pubblico, facendo leva sull’immaginario collettivo italiano. Ne scaturisce un omaggio alla figura del prete, alle sue personali vicende biografiche e alla passione per il suo ministero, rivisitati attraverso un itinerario fotografico di portata eccezionale”.

Questa domenica ci sarà l’inaugurazione presenziata dal vescovo della città, Mons. Mansueto Bianchi, nella prestigiosa sede del Battistero di San Giovanni in piazza Duomo (h. 16.00). Chi si trova nei paraggi non deve mancare!