LA LUCE IN SALA


AGGIORNAMENTI FLASH: TORINO FILM FESTIVAL
30 novembre 2011, 10:00 PM
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È in corso in questi giorni (e giustamente mi si redarguisce sul ritardo di questo post ;), fino al 3 dicembre,  la ventinovesima edizione del Torino Film Festival. Il programma è veramente ricchissimo: vi invito a visionarlo direttamente sul sito ufficiale. Ad una prima veloce scorsa si notano due titoli interessanti anche per la Luce in sala:

THE CATECHISM CATACLYSM (Todd Rohal, 2011)  – A causa di alcune parabole non troppo canoniche raccontate ai suoi fedeli, il giovane prete William Smoortser viene invitato caldamente dai suoi superiori a concedersi un periodo sabbatico. Billy decide così di ricontattare Robbie, suo idolo ai tempi del liceo, per coinvolgerlo in un viaggio in canoa. Il primo giorno si ritrovano così a rievocare gli anni in cui Billy suonava in una band cristiana e Robbie era invece un chitarrista metal. Quando però cala la notte, scopriranno di essersi persi e dovranno affrontare una serie di strani avvenimenti.

Decisamente un film che non si lascia inquadrare dal solo trailer… incuriosisce e promette irriverenze varie e risate… teniamolo sotto osservazione.

A RELIGIOSA PORTUGUESA (Eugène Green, 2009) – Julie, giovane attrice francese di madre portoghese, approfitta delle riprese dell’adattamento delle Lettere di una monaca portoghese per recarsi a Lisbona e lasciarsi alle spalle una storia d’amore finita male. Decisa a immergersi pienamente nella vita della città, ogni sera si imbatte in un personaggio enigmatico, fino a quando, una notte, nella cappella di Nossa Senhora, incontra una giovane monaca inginocchiata in preghiera. Assisterà così al silenzioso dialogo tra la religiosa e Dio, esperienza che segnerà indelebilmente la sua vita. (Le sinossi sono tratte dal sito del festival).



DEVIL
28 novembre 2011, 1:43 PM
Filed under: Aperti a Dio, Film

(Devil)

USA 2010, di John Erick Dowdle, con Chris Messina, Logan Marshall-Green, Jenny O’Hara, Bojana Novakovic…

Un titolo “aperto a Dio” che è anche un film horror. Ho già toccato l’argomento in altre situazioni, ma essendo questo un luogo virtuale dove ci si concentra su agiografie e variegati temi religiosi, la specificazione non sarà mai del tutto inutile: l’idea che un horror non abbia nulla da trasmettere sul piano spirituale è un’idea comune, spesso fondata, e tuttavia in alcuni casi sbagliatissima. Proprio perché questo genere non teme di sondare il panorama soprannaturale incappa inaspettatamente, molto più di quanto accade ad altri generi, nell’occasione di dire qualcosa di davvero importante. Nel caso di Devil è stato sufficiente accorgermi del fatto che la scrittura fosse di M. Night Shyamalan per prestare attenzione a un titolo che altrimenti sarebbe scivolato via nel mare dei film horror che non si ha il tempo (o lo stimolo) di vedere. Un titolo lapidario, esausto, banale… che chiama in causa una figura abusata nel settore della paura: La casa del diavolo, Il nascondiglio del diavolo, La sedia del diavolo, Il respiro del diavolo, La spina del diavolo… un elenco solo dei titoli più recenti -senza nemmeno credits- che potrebbe continuare ancora. Quando c’è di mezzo lui, il principe di questo mondo, la spia “cattolicesimo” si accende volentieri per dare senso a un personaggio altrimenti tendente all’astrazione, o magari per offrire persino una soluzione. La sorpresa di Devil non è stata constatare tutto questo ancora una volta, ma scorgere aldilà dell’evidente “apertura a Dio” (per dirla con la categoria che dà ragion d’essere a questa recensione, un concetto espresso a chiare lettere nel film non senza semplicismi) qualcosa di molto più raffinato sul piano dell’interpretazione cristiana del male e del rapporto dell’uomo con esso. Non fraintendetemi, il film mira naturalmente a sconvolgere e spaventare (di non poco conto fra l’altro il fatto che ci riesca), e per farlo spettacolarizza e forza alcuni principi teologici, ma senza appiattirli. In una mattinata senza sole, in uno dei tanti grattacieli di Filadelfia, uno dei tanti ascensori si blocca con a bordo cinque persone. Subito la situazione si qualifica come poco distesa, dato che ognuno culla le proprie fobie, sfoga il proprio fastidio, si mette sulla difensiva tra sarcasmi e punzecchiature varie. Le cose ovviamente non migliorano quando il guasto si rivela di difficile soluzione ed iniziano a trascorrere inesorabilmente le decine di minuti. Nella stanza dei bottoni due addetti osservano dal monitor la situazione all’interno del cubicolo e Ramirez, ispanico di cattolicissimo retaggio, intuisce presto, interpretando alcuni strani aloni che appaiono sul monitor, che la situazione è ben più grave del pensabile: non esistono tecnici in grado di riparare quel guasto. Ad essere guasto infatti non è l’ascensore, ma l’essere umano, che nelle cinque varianti dei personaggi intrappolati mostra tutto un ventaglio di difetti, pecche e soprattutto colpe. Di lì a poco la preoccupazione e il fastidio diventeranno puro terrore, mentre le forze dell’ordine, impotenti, osserveranno compiersi le fasi di un terribile enigma. La trama è originale, interessante e soprattutto da brividi. Ma c’è di più, molto di più: in pieno accordo con la migliore poetica di Shyamalan, un cristianesimo latente affiora dalla storia per diventarne, in punta di piedi, il protagonista. Il male si manifesta atroce e implacabile, mentre gli avvertimenti di Ramirez appaiono ridicoli (sottolineo “appaiono” e specifico: meravigliosamente ridicoli) anche allo spettatore stesso, al corrente della reale natura della situazione. Per chi non ha difficoltà col genere Devil è un film raccomandato, ben confezionato, ben recitato… portatore di un pacchetto di significati sorprendentemente importanti. Ottimo l’iniziale scorrere dei titoli di testa: geniale.



FESTIVAL & FESTIVAL
23 novembre 2011, 8:52 am
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Ma quanti sono i festival cinematografici in Italia? Prima di aprire il blog non mi tenevo aggiornato così repentinamente su tali fermenti culturali… non me ne lamento, ovvio, ma sono a dir poco sbalordito.

UMBRIA INTERNATIONAL FILM FESTIVAL – È attualmente il corso (20-27 novembre) la settima edizione di tale kermesse, dedicata quest’anno al tema Popoli e Religioni. Immancabile il discusso Habemus Papam di Moretti, fuori concorso, assieme a due intelligenti ripescaggi: Lourdes (Hausner, 2009) e Io sono con te (Chiesa, 2010). Grazie a questa iniziativa ho saputo dell’esistenza di un film di enorme interesse: The Mill and the Cross, di Lech Majewski (2011). Il film anima il capolavoro di Bruegel “La salita al Calvario”,il quale mette in scena la Passione di Cristo nel brumoso paesaggio delle Fiandre, mentre il pittore stesso agisce nella pellicola schiudendo allo spettatore un mondo lontano, a tratti oscuro e poetico, battuto (siamo nel 1564) dall’invadenza dell’invasore spagnolo. Accanto a Bruegel il suo maggior collezionista e, soprattutto, la Vergine Maria.

Notiamo anche che nella serata di giovedì 24 verrà proiettato il film Il Rito (Håfström, 2011), cui seguirà la proiezione di un’intervista a Padre Gabriele Amorth realizzata per l’occasione. Per il programma dettagliato e tutti i particolari vi rimando al sito dedicato.

TERTIO MILLENIO FILMFESTIVAL – Direttamente da Cinematografo.it: “Il cinema è naturalmente vicino al miracolo: è una forma d’arte che provoca lo stupore, spettacolare e sensazionale”. Così monsignor Paul Tighe, intervenendo alla presentazione della 15esima edizione di Tertio Millennio Film Fest, organizzato da Fondazione Ente dello Spettacolo e in programma a Roma dal 6 all’11 dicembre, sotto l’insegna: “Amore, morte miracoli per una fenomenologia della società contemporanea”.
Tighe, segretario del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, cita “il miracolo della quotidianità, ovvero la conversione e la redenzione del cinema di Mike Leigh, Eastwood, Tornatore”, elogia “la seconda parte di The Tree of Life” e il “miracoloso 3D” di Avatar, mentre monsignor Franco Perazzolo del Pontificio Consiglio della Cultura sottolinea “amore e morte quali frontiere ultime del miracolo: la prima è la scintilla, la seconda la barriera, il titolo di Tertio Millennio è provocatorio, ma interessante”. Viceversa, Vittorio Sozzi del Progetto Culturale della CEI riconosce alle “comunità ecclesiali la capacità di far fruttificare le ricchezze di questa rassegna di livello nazionale”.  (continua a leggere)



NEWS VARIE: FLOWERS OF WAR E NUOVO LIBRO, TRA CIELO E TERRA
18 novembre 2011, 1:27 PM
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Quando qualche settimana fa ho visto per la prima volta – non senza trepidazione – il trailer del prossimo film con Christian Bale, (Flowers of War) mi sono reso conto che non era solo il titolo ad essere cambiato… ma che il protagonista non era più un prete eroe, come si era dedotto dalle prime immagini e dai generici accenni alla trama divulgati in corso di lavorazione, ma un finto-prete eroe… ‘with benefits’. Bale infatti non è mai stato chiamato a interpretare un vero prete, ma bensì un impresario funebre americano travestitosi da prete per scampare all’invasione giapponese di Nanchino. Spiace  vedere un ridimensionamento così consistente delle aspettative, (dato che sul piatto c’era -o c’è ancora?- una lettura del cattolicesimo made in Cina), ma a parte questo il film mantiene un grande potenziale: era solo una precisazione/rettifica che andava fatta.

A giorni (il 23 novembre) uscirà il libro Tra cielo e Terra. Cinema, artisti e religione (curatela di Arnaldo Casali). Riporto dal sito della Pendragon: “Il Vangelo, la settima arte, l’ha tenuta a battesimo: nel 1898, appena tre anni dopo l’invenzione del cinematografo, The Passion of Christ dell’americano Sigmund Lubin inaugurava un rapporto di reciproca attrazione e conflittualità, che ha visto opere cinematografiche venire accolte come autentici manifesti del cattolicesimo (Fratello sole, sorella luna con le foto di scena divenute santini e la colonna sonora entrata nel repertorio della messa) e altre ripudiate aspramente come oggetto di scandalo, tanto da arrivare a pseudo-scomuniche […]”. L’approfondimento è garantito dalle numerose interviste raccolte: Franco Battiato, Angelo Branduardi, Enrico Brizzi, Fabio Bussotti, Liliana Cavani, Ascanio Celestini, Arnaldo Colasanti, Giobbe Covatta, Maria Grazia Cucinotta, Alessandro D’Alatri, Corrado Guzzanti, Sabrina Impacciatore, Riccardo Leonelli, Neri Marcorè, Giuliano Montaldo, Davide Rondoni, Francesco Salvi, Jerzy Stuhr, Carlo Verdone. Un dialogo tra Nanni Moretti e Alice Rohrwacher e interventi di Mons. Vincenzo Paglia, Stefania Parisi, Francesco Patrizi, Dario Edoardo Viganò, Krzysztof Zanussi.

Beh,  direi che può essere preso in considerazione come regalo di Natale!



WALT DISNEY E IL CRISTIANESIMO – PARTE II
17 novembre 2011, 9:43 am
Filed under: I Protagonisti, Pillole cinecattoliche

Disney anticattolico? – Disney massone? Nelle forme moderate e pacifiche che abbiamo osservato sicuramente sì, ma sarei addirittura propenso a pensare che il silenzio di molti testi (persino i più recenti) su questo aspetto della sua vita non stia come si sarebbe portati a credere in un desiderio di obliterazione (il DeMolay ha un sito anche italiano accessibilissimo, per il 100° compleanno di Disney ci sono state celebrazioni in seno all’organizzazione, alcune sedi americane sono titolate alla memoria di Walt… il quale fa inoltre mostra di sé sulla Hall of Fame virtuale dell’ordine) quanto piuttosto, sembra, a una certa irrilevanza (o sproporzione) di questo aspetto della sua vita privata. Come deduciamo dalle sue dirette parole, Walt era ricco di buoni propositi e sentimenti positivi, ma essendo allergico alla chiesa come istituzione trovò nel DeMolay un riferimento alternativo che gli consentisse, stando allo statuto ufficiale, di contemplare l’esistenza di Dio assieme a tutti quei valori conservatori che gli erano fondamentali. Naturale che vi si affezionasse e ne ricordasse a distanza di anni la missione che condivideva filosoficamente. Ma era o no Anticristiano? Stando a ciò che potremmo concludere a questo punto direi proprio di no. Allora almeno Anticattolico? Vediamo: i coniugi Disney da bravi genitori moderni non fecero mai battezzare le figlie; “Papà pensava che dovessimo avere una chiesa di nostra scelta. Non voleva che nulla nei nostri primi anni di vita ci influenzasse”, ricorda la figlia di Walt e Lillian, Diane. Senza giocare a fare gli psicologi potremmo semplicemente constatare, nella strategia educativa di Walt, il desiderio di proporre qualcosa di opposto rispetto alla rigida educazione congregazionalista ricevuta sulla propria pelle e, soprattutto, l’ulteriore riprova dell’apertura senza falsità di Walt alle scelte altrui. Le bambine tuttavia, forse per non essere completamente abbandonate nell’ignoranza della concreta possibilità di una sfera religiosa frequentarono per qualche tempo la scuola domenicale del Cristo scientista. In quarta elementare Diane frequentò invece – ma solo per un anno – una scuola cattolica: “Volevo diventare una suora”, afferma la diretta interessata, “Durante l’ora del pranzo me ne andavo in giro a pregare di fronte alle statue e via di questo passo”. Forse, come osserva l’autore di Vita di Walt Disney, libro dal quale provengono queste informazioni, “dal punto di vista del padre [quella scuola] le piacque un po’ troppo”, e fu per questo motivo che la piccola venne indirizzata al più presto altrove. In alternativa potremmo prendere per onesta (e non come ingenuamente rilassata) la lettera che Disney inviò alla sorella Ruth nel gennaio 1943: “La piccola Diane sta andando a una scuola cattolica adesso, e sembra divertirla davvero molto. È abbastanza presa dai rituali e sta studiando il catechismo. Non ha ancora deciso se vuole essere cattolica o protestante . Qualcuno è preoccupato per questo suo interessamento al cattolicesimo, ma io la penso diversamente. Penso sia abbastanza intelligente da sapere che cosa vuole fare e la sua decisione, quale che sia, è cosa che riguarda solo lei. Le ho spiegato che i cattolici sono persone come noi, e che sostanzialmente non ci sono differenze. Darle quest’ampia visione credo le formerà dentro uno spirito di tolleranza”. Tali righe di spiccata lungimiranza, rispetto al panorama culturale degli anni ’40, non furono probabilmente vacue parole: il biografo Neal Gabler interpretò quel “qualcuno è preoccupato” come un riferimento di Walt a sua moglie Lillian. L’interessamento di Diane per il cattolicesimo viene registrato da diversi biografi, e addirittura  Candace Rizzardini in un articolo dagli intenti simili a questo, dichiara di aver saputo telefonicamente da Paul Anderson, editore del magazine Disney Persistence of Vision, che Diane gli aveva confidato di essersi convertita al cattolicesimo da teen ager (secondo Paul perché i suoi amici la influenzarono, ed ella voleva sentirsi parte del gruppo). Comunque formalmente cattolica Diane non lo fu mai, dato che risulta chiaramente come nel 1954 , assieme al fidanzato Ron Miller, si facesse battezzare in una chiesa episcopaliana di Santa Barbara con Walt e Lillian come padrini, una settimana prima delle nozze nella stessa chiesa. Shannon Disney invece, sorella adottiva di Diane, si sposò con cerimonia presbiteriana nel 1959. Roy Disney, fratello e braccio destro di Walt, pur non essendo cattolico ricevette un funerale cattolico, visto che suo figlio Roy E. Disney aveva sposato Patricia Dailey… una cattolica. Pinsky (The Gospel, cit. p.19) osserva che questo matrimonio ebbe una profonda influenza su Roy senior, in particolare quando iniziarono ad arrivare i nipotini. Il  cattolicesimo ha bisogno di tempo per essere compreso dall’esterno… ed è proprio Roy che esclama: “quando vivevo a Kansas City eravamo soliti correre in giro per la città tirando sassi ai cattolici… ora ho quattro nipotini cattolici”. Non si perse mai un Battesimo, Prima Comunione o Cresima, e le sue esequie vennero celebrate proprio nella parrocchia in cui si era recato tante volte. L’impossibilità di recuperare il testo integrale di Building a company: Roy O. Disney and the creation of an entertainment empire, di Bob Thomas, rende problematico il riferimento ad alcune righe estrapolate da tale biografia: “Massone per decenni, più tardi confidò a Patricia di aver rassegnato le dimissioni dall’ordine, il quale aveva una lunga storia di anticattolicesimo. Sentiva di doverlo a sua nuora”. (Vale la pena ricordare che Roy Jr. un non cattolico con moglie cattolica, ricevette nel 1998 da Giovanni Paolo II l’investitura a Cavaliere dell’Ordine Equestre Pontificio di San Gregorio Magno, in riconoscenza del suo supporto alla costruzione di una nuova cattedrale a Los Angeles).  A differenza di Roy non sembra che Walt dal DeMolay fosse passato alla massoneria vera e propria, e fu anzi (in conferma di quanto dicevamo sopra) concretamente aperto alle espressioni cristiane che venivano sviluppandosi in seno al suo impero: lo vediamo nei suoi cortometraggi e poi nei suoi film sia animati che in live action, e nella meravigliosa Candle Light Procession (sin dal ’55 a Disneyland, in una notte precedente il Natale, si teneva una processione con candele a cui prendevano parte tutti i cori di tutte le parrocchie -di ogni confessione- e di tutte le scuole corali della zona, le quali intonavano bellissimi canti natalizi religiosi. Questa tradizione d’altri tempi perdura ancora oggi, sebbene con modalità differenti, anche al Disney World di Orlando; da sottolineare che prima del concerto un noto personaggio di spettacolo invitato per l’occasione legge i brani evangelici inerenti la natività di Cristo). (Dal minuto 02.00).

È poi di sicuro interesse, sebbene non significhi niente di più che una serena apertura, ricordare che Walt, nel suo viaggio in Italia del 1935, ebbe un’udienza privata nientemeno che col Santo Padre Pio XI (incontrò anche Mussolini, certo).

Un fotogramma dal film Fantasia

Il finale di Fantasia (1940), intriso di una romantica mistica cristiana traduce visivamente l’ Ave Maria di Schubert (nel film il testo originale latino è stato tradotto in inglese) e dal testo di John Culhane dedicato a questa fatica cinematografica (Walt Disney’s Fantasia), apprendiamo che Walt aveva previsto che negli ultimi fotogrammi del lungometraggio, quando l’inquadratura si innalza verso il cielo, comparisse un’immagine della Vergine Maria fra le nuvole. Alla fine Walt vi rinunciò perché una scelta così forte sarebbe stata troppo controversa. Nel film c’è anche un lungo capitolo dedicato all’Olimpo greco, trattato però in modi buffi e leziosi: sigillare tutta l’opera dopo due capitoli molto seriosi e di tono piuttosto elevato con un’immagine eminentemente cattolica, per di più dopo una parentesi di sapore quasi liturgico (prima nella processione di globi di luce erano previsti veri e propri candelabri) avrebbe sicuramente comportato polemiche a non finire (che non mancarono neppure dopo tali ridimensionamenti). Walt mantenne per moltissimi anni un senso di amorosa nostalgia per la figura materna (avete presente Bambi, Dumbo e Biancaneve?) e quindi nulla di strano che proprio per la Madre di Dio provasse almeno quella rispettosa curiosità che lo spinse, ad esempio, ad acquistare una statua della Vergine in argento da uno dei suoi disegnatori (lo riporta Candace Rizzardini da Neal Gabler, Walt Disney: The Triumph of the American Imagination). “Credo che tutte le concezioni siano immacolate, proprio perché c’è di mezzo un bambino”, rispose Walt all’infermiera del suo studio, Hazel George, quando questa gli chiese se credesse a tale dogma. Una risposta interessante, che ci consente di chiarire come a vincere sempre fosse un suo personale senso del divino, lontano dai teologismi più complessi.  Fino ad ora abbiamo raccolto molti elementi per cercare di capire l’atteggiamento di Disney verso il cristianesimo e la Chiesa Cattolica, molti, ma tutti indiziari. A Burbank in California c’è però un segno inequivocabile di ciò che Disney pensava della Chiesa Cattolica: Il Providence Saint Joseph Medical Center, fondato nel 1943 dalle Sorelle della Provvidenza, è attualmente l’ospedale più grande della San Fernando Valley, noto per la qualità dei servizi, le tecnologie impiegate e il senso umano con cui si accompagnano le cure. La struttura si eleva esattamente di fronte al quartier generale della Walt Disney Company e, se noto è il fatto che nelle sue stanze esalarono l’ultimo respiro sia Walt che Roy Disney, è invece ignorato sorprendentemente da tante biografie il fatto che Walt sin dai primi momenti di vita del progetto vi dedicò il suo entusiastico e pubblico contributo. Non ci è giustamente dato di conoscere, vista la natura caritativa del gesto, il peso di questo contributo, ma la foto in cui una processione cattolica lo incornicia nel momento in cui smosse la prima zolla del terreno destinato alla struttura, o quella dove “Topolino in persona” consegna un assegno alla priora delle Sorelle della Misericordia, Suor Zephirin, consentono di intuire una certa concretezza, un certo slancio. Disney dispose inoltre che i suoi artisti si applicassero nella realizzazione di murales e decorazioni varie per rallegrare gli interni (molti sono visibili, assieme ad altre foto, qui). Oggi la piazza antistante l’ospedale è titolata alla sua memoria, e la famiglia Disney e la Walt Disney Company non hanno mai smesso di prestare aiuto alla struttura (Roy Jr. e Patricia Disney hanno devoluto 10.000.000 $ per la costruzione del moderno Roy and Patricia Disney Family Cancer Center). Walt si spense il 15 dicembre 1966 in un letto del Saint Joseph Medical Center dove era stato ricoverato per un tumore al polmone sinistro. Roy ne ha ricordato gli ultimi momenti: sdraiato a letto immaginava nel reticolo dei pannelli fonoassorbenti del soffitto la piantina della sua ultima sfida, l’immenso Disney World. Alcuni anni prima, già compromesso nella salute, aveva detto all’infermiera Hazel: “ Su una cosa lei ha ragione: fumo e alcol sono peccati. Siamo tutti creature di Dio, e trascurando il corpo che Lui ci ha dato commettiamo peccato”. Disney non fu mai l’uomo perfetto che il culto di un sogno alla porporina ha scolpito con finalità anche commerciali: fu un appassionato fumatore e bevitore, sboccato, esuberante, perdeva clamorosamente le staffe, e oltre a ciò forse altro che solo lui e qualcuno più in alto conoscono veramente… ma non fu nemmeno il mostro che vari ricettatori di scoop vorrebbero poter ricostruire credibilmente. Fu un uomo di spiccato intuito, spregiudicatezza, inventiva, genio… un uomo che ha accompagnato molti di noi nel delicato momento dell’infanzia: lo Zio Walt che possiamo ricordare come un ingranaggio (accessorio eppur determinanate) della nostra felice esperienza del mondo, prima ancora che come un protagonista della storia e della cinematografia del ‘900.



AGGIORNAMENTI FLASH: ANTONIONI, TINTIN, CASCO IN VOLO
15 novembre 2011, 12:32 PM
Filed under: News

INEDITO ANTONIONI – Nell’ultimo post di aggiornamento avevo completamente dimenticato di linkarvi un articolo di enorme interesse. Su Avvenire potrete leggerlo integralmente, intanto eccovi un’anticipazione: “Con il pudore del laico e la sensibilità dell’artista, Michelangelo Antonioni, del quale il prossimo anno ricorre il centenario della nascita, si avvicinò due volte a soggetti legati alla religiosità e al cristianesimo. L’attenzione del grande regista ferrarese si soffermò, infatti, nel 1982, sulla figura di Frate Francesco, che voleva fosse interpretato, lungimiranza e intuito, da Roberto Benigni, capace di recitare nella lingua dei Fioretti. Il film naufragò, vuoi per i costi, vuoi per l’ottusità dei produttori. Circa otto anni prima, a metà degli anni Settanta, era stata la figura di Santa Teresa d’Avila ad attirare il suo sguardo severo. Una frase della mistica carmelitana lo aveva colpito, diventando il titolo di un film mai nato: Patire o morire”.

TINTIN – È da poco arrivata nelle sale l’utlima fatica di Steven Spielberg: Le avventure di Tintin. Dato che il film asporta con cura l’imprinting cattolico del suo protagonista (e quindi del suo creatore Hergé) si sono affacciati in rete alcuni articoli pronti a ricordarcelo. Qui quello di Introvigne da La Bussola Quotidiana, e qui quello dell’ Osservatore Romano che, traducendo la voce “Tintin” del Dictionnaire amoureux du catholicisme, lo ricorda come “l’angelo custode dei valori cristiani che l’Occidente rinnega o irride costantemente”.

CASCO IN VOLO – Recupero questo argomento in ritardo, visto che ne vale davvero la pena. Casco in volo è il titolo scelto da Gianlcua Greco per il suo documentario (proiettato martedì 01 novembre alla Casa del Cinema nell’ambito del Festival Internazionale del Film di Roma) dedicato a una giornata tipo delle suore agostiniane del convento adiacente la Basilica dei Santi Quattro Coronati al Celio, Roma. “Ho cercato di capire quanto del loro mondo di preghiera potesse ‘cascare’ sulla città e quanto la città percepisce delle loro preghiere”, ha detto il regista ad Avvenire. “Gianluca Greco […], disvela il misticismo delle protagoniste con leggerezza e rispetto, scegliendo un linguaggio fatto di morbide sinestesie e fotografando con i toni di un affresco rinascimentale una permanenza d’altri secoli” (fonte). Speriamo che non manchino future occasioni per poterlo vedere!



WALT DISNEY E IL CRISTIANESIMO parte I
13 novembre 2011, 8:31 PM
Filed under: I Protagonisti, Pillole cinecattoliche

Personaggio più unico che raro Walt Elias Disney (1901-1966) ha incarnato storicamente (e grandiosamente) due pilastri dell’immaginario esistenziale a stelle e strisce: il sogno americano e il self-made man. Come molti protagonisti del Novecento (peggio se icone pop), Walt ha assunto a seconda di chi si trovava a darne un giudizio l’aura angelica o demoniaca propria di un volto astratto, di un’etichetta scollegata dalla realtà e dal senso umano. Lo spettro per constatare la rilevanza del nome di Disney e l’aggressività con cui se ne è mantenuta l’eco concitata è, come sempre, la selva di leggende metropolitane fiorite sul suo conto (di comprovata falsità, se ci fosse il bisogno di specificarlo): Walt era un adoratore del demonio; era figlio illegittimo; venne congedato con disonore dall’esercito; nel corso della sua esistenza costituì una mastodontica collezione di materiale pornografico; fu nazista e comunista; razzista e antisemita; misogino e sessualmente disturbato; venne ibernato criogenicamente poco prima della morte (il suo corpo sarebbe custodito sotto l’attrazione Pirates of Caribbean a Disneyland: si attende la cerimonia di sbrinamento per il 2055). Accanto alle chiacchiere fantasiose e ricche solo di pettegola malevolenza vi sono accuse meno aleatorie che meritano la giusta attenzione, ma in ogni caso troppo spesso si tende a dimenticare che dietro all’elegante firma marchio impressa su una delle case cinematografiche più grandi e potenti del mondo, infiniti successi cinematografici commerciali e artistici, merchandise di incalcolabili forge, 14 parchi tematici, una linea di crociere, un’università (la lista potrebbe continuare)… c’è soltanto un uomo, grande certamente, ma fatto di meriti e colpe, pregi e difetti, virtù e debolezze proprio come chiunque altro. Inoltre, sebbene la mastodontica Walt Disney Company sia tuttora legata a filo doppio al nome, alle scelte, all’impronta e alle fondamenta gettate dal suo fondatore… la confusione che si viene a creare fra le due entità è un grossolano errore.
Rinunciamo a una profilatura di ampio respiro (che potrete trovare agilmente altrove) per concentrarci su alcuni aspetti più specifici per il nostro discorso.
Disney massone e anticristiano? –  Vi propongo con traduzione corsiva, come di consueto, un testo fondamentale per penetrare la concezione religiosa di Disney. Deeds rather than words, questo il titolo originario, venne scritto nel 1963 in prima persona da Walt, in ottemperanza alla richiesta dello scrittore Roland Gammon, il quale desiderava raccogliere le testimonianze sulla fede dei volti più noti d’America per racchiuderle in un’antologia titolata Faith is a Star.

Fatti, piuttosto che parole

In questi giorni di tensioni mondiali, nei quali la fede dell’uomo viene messa alla prova come mai prima, sono personalmente grato ai miei genitori per avermi insegnato in tenera età ad avere una forte convinzione personale e fiducia nel potere della preghiera per Divina ispirazione. I miei erano membri della Chiesa Congregazionale della nostra città natale, Marceline in Missouri. È stato lì che mi hanno insegnato per la prima volta l’importanza della religione… come essa ci sia di smisurato aiuto per affrontare le prove e gli affanni della vita e ci mantenga in sintonia con l’ispirazione Divina. Più tardi nel DeMolay ho imparato a credere nel principio di base che ogni uomo possiede il diritto di esercitare la propria fede e i propri ideali come crede. Nel DeMolay crediamo in un un essere supremo, nella comunione umana e nella santità della casa. DeMolay è sinonimo di tutto ciò che è bene per la famiglia e per il nostro paese.

Ogni persona ha una propria concezione dell’atto di preghiera per l’assistenza di Dio, la sua tolleranza, la sua misericordia, per adempiere ai propri compiti e responsabilità. Il mio concetto di preghiera non è quello di una supplica per ottenere speciali favori o un veloce palliativo contro i torti consapevolmente commessi. Una preghiera, mi sembra, implica una promessa tanto quanto una richiesta; al più alto livello la preghiera non è solo una supplica per ottenere forza e consiglio, ma un’affermazione di vita e dunque riverente lode a Dio.

Fatti, piuttosto che parole, esprime il mio concetto sulla parte di religione che dovrebbe agire nella vita di ogni giorno. Ho osservato costantemente che nei nostri film i più alti standard morali e spirituali sono sostenuti, sia che si tratti di favole che di storie in live action. Questa religiosa preoccupazione per la forma e il contenuto dei nostri film risale a 40 anni fa e al finanziariamente difficile periodo presso Kansas City, quando lottavo per affermare un compagnia cinematografica e produrre favole animate. Molte volte in quegli anni difficili, proprio mentre sviluppavamo Alice in Cartoonland e più tardi ad Hollywood col primo Topolino, eravamo sotto pressione per svendere o svilire il nostro soggetto, o renderlo lucrabile in un modo o nell’altro. Noi abbiamo tenuto duro, mio fratello Roy e gli altri fedeli associati, fino a quando il successo di Topolino e delle Silly Symphonies, alla fine, ci ha dato ragione. Allo stesso modo quando la guerra è arrivata negli Stati Uniti, nel 1941, abbiamo cambiato la redditizia produzione di film popolari in produzioni militari per lo Zio Sam. Il 94% delle strutture hollywoodiane Disney venne impegnato in speciali lavori governativi mentre la restante parte rimaneva fedele alla produzione di commedie costruttive morali e cortometraggi.

Sia la conoscenza delle Scritture che la carriera nell’intrattenimento dei bambini mi hanno insegnato ad averne cura. Ma non intendo sminuirli, nella vita come nel cinema. Io non ho mai trattato i miei ragazzi come fragili fiori, e penso che nessun genitore dovrebbe.

I bambini sono persone, e dovrebbero avere la possibilità di conoscere le cose, capire le cose, proprio come gli adulti devono arrivarci per poter crescere in statura mentale. La vita è composta di luci e ombre, e saremmo bugiardi, ipocriti e melensi se cercassimo di far finta che non esistano ombre. La maggior parte delle cose sono buone, e sono le cose più forti, ma esistono anche cose cattive, e non state facendo un favore a un bambino cercando di proteggerlo dalla realtà. La cosa importante è insegnare a un bambino che il bene può sempre trionfare sul male, e questo è quello che cerchiamo di fare con i nostri film.

Il bambino americano è un essere umano molto intelligente, caratteristicamente sensibile, divertente, di mentalità aperta, desideroso di imparare, e ha un forte senso dell’entusiasmo, energia ed una sana curiosità del mondo in cui vive. Fortunato è infatti l’adulto capace di mantenere queste medesime caratteristiche nella vita matura. Solitamente concorrono a farne un uomo felice e di successo. Nei nostri cortometraggi animati, come nelle produzioni live action, abbiamo cercato di trasmettere nei racconti e nelle canzoni quei valori che rendono bambini e adulti attraenti. Ho sempre pensato che il modo per tenere i bambini lontano dai guai fosse quello di mantenerli interessati alle cose. Le conferenze non sono una soluzione alla delinquenza. Le prediche non mancheranno di tenere i giovani fuori dai guai, ma le loro menti occupate.

Perciò, qualunque successo io abbia conseguito nel condurre un intrattenimento pulito e informativo alle persone di ogni età, lo attribuisco in gran parte alla mia educazione congregazionalista e alla familiarità per tutta la mia vita con la preghiera. Per me oggi, all’età di 61 anni, ogni preghiera, quella degli umili o dei più altolocati, ha una cosa in comune: la richiesta di forza e ispirazione per portare avanti i migliori impulsi umani, i quali dovrebbero legarci assieme per un mondo migliore. Senza tale ispirazione ci deterioreremmo rapidamente e, infine, moriremmo. Ma ai nostri tempi tormentati il diritto dell’uomo di pensare e adorare ciò che gli detta la coscienza viene messo a dura prova. Possiamo mantenere questi privilegi solo rimanendo costantemente in guardia e combattendo contro qualsiasi usurpazione di questi precetti. Il ritiro di uno qualsiasi dei principi tramandatici dai nostri avi, i quali versarono il sangue per gli ideali che ancora abbracciamo, sarebbe una completa vittoria di quanti vorrebbero distruggere la libertà e la giustizia individuali.

Walt Disney, il secondo da dx, assieme ad altre personalità del DeMolay (anni '30)


Con questa chiusura graniticamente conservatrice termina la più limpida espressione dello spirito  laico e fermamente teista di Disney. Infatti uno degli aspetti biografici decisivi per la nostra indagine è l’affiliazione di Walt al DeMolay, citato subito nel primo paragrafo. Ma che cos’è più precisamente il DeMolay? Si tratta sostanzialmente di un’ anticamera massonica riservata ai giovani dai 12 ai 21 anni, fondata nel 1919 a Kansas City. Come è noto la massoneria è la campionessa della moderna battaglia anticattolica. L’impeccabile Introvigne ha avuto modo di parlarne proprio in occasione di una riflessione sul padre di Topolino: “Se la simbologia [nel DeMolay] è patriottica e vagamente cavalleresca, profondamente massonico è il riferimento ai templari e al loro Gran Maestro Jacques de Molay (ca. 1240-1250-1314). Molti storici pensano che de Molay fosse in realtà un buon cattolico, ingiustamente calunniato e mandato a morire sul rogo dal re di Francia Filippo il Bello (1268-1314), che – forse bello, ma certamente squattrinato – voleva impadronirsi delle favolose ricchezze dei templari. Ma nella simbologia massonica settecentesca e ottocentesca de Molay diventa – in modo piuttosto anacronistico – un campione del libero pensiero, vittima dell’alleanza della monarchia di Francia e della Chiesa Cattolica, e i massoni s’impegnano a vendicarlo combattendo i troni e gli altari. Questi riferimenti mostrano come l’organizzazione giovanile della massoneria – che conta ancora oggi diciottomila membri, in cui si è formato per esempio Bill Clinton, e che ha una sua piccola filiale anche in Italia – non sia completamente innocua. È nota l’appartenenza massonica di Walt Disney. Meno noti sono l’entusiasmo con cui egli accompagnò le prime attività dell’Ordine DeMolay, e la sua amicizia con il fondatore di questa massoneria per ragazzi, l’imprenditore Frank Sherman Lang (1890-1959). Fino a quando compì quarant’anni, benché fosse ormai fuori età, Disney continuò a portare con orgoglio al dito l’anello dell’Ordine DeMolay”. Se Disney non ebbe una netta simpatia per il cristianesimo codificato, le sue parole trasmettono un’ammirevole esempio di tolleranza e apertura, e del resto occorre rimarcare quanto fosse stata energica la sua formazione religiosa: Walt, sebbene non praticante nell’età adulta, nacque in una famiglia di devoti congregazionalisti (o “Indipendenti”; i congregazionalisti sono organizzati in cellule autonome sottomesse alla “diretta guida di Cristo”, si identificano storicamente con i famosi “Padri Pellegrini” giunti in Nordamerica con la Mayflower e la loro teologia è di matrice calvinista. Oggi sono circa 4.000.000). Il padre di Walt, Elias Disney, era molto religioso, un uomo onesto e ricordato dai figli con affetto sebbene talvolta violento e sprezzante (cosa che ha fatto fiorire molte letture psicanalitiche della  fantasiosità e della vitalità disneyana).
Elias, un piccolo e fallimentare imprenditore edile, costruì la chiesa congregazionale di St. Paul nel quartiere dove risiedeva con la famiglia nei primissimi del 900, a Chicago. “Lì eravamo di casa” racconta il fratello-socio di Walt, Roy, “Papà di solito sostituiva il prete quando questi non c’era. Tutti noi da bambini andavamo lì per la scuola e chiesa domenicale”. Elias era uno degli attori principali della parrocchia insomma, e sua moglie aveva inoltre il ruolo di tesoriera. Walt venne battezzato col nome di suo padre e col nome del ministro inglese Walter Robinson Parr, in carica presso la parrocchia di St. Paul dal 1900 al 1905. Qualche anno più tardi però, dal 1911, la famiglia si era trasferita a Marceline, nel Kansas (dove non c’erano parrocchie congregazionaliste) e con l’aggravarsi delle condizioni economiche della famiglia che richiedevano l’impiego dei fratelli Disney nella consegna del giornale locale, ci fu un progressivo accantonamento della religione; ricorda ancora Roy: “Il carico era pesante. E la domenica, una giornata di grande lavoro. […] Perdemmo l’abitudine della chiesa per questo motivo. Capisci bene che è una di quelle cose che proprio non ti permettono di andare a messa”. Anche Walt ricorderà come “in seguito, a un certo punto, smettemmo di pregare” (Michael Barrier, Vita di Walt Disney, pp. 36, 43).
Disney entrò a far parte del DeMolay da diciannovenne, nel 1920, come centosettesimo membro del Mother Chapter of DeMolay, di Kansas City.
“Walt si considerava religioso nonostante non andasse mai in chiesa. La massiccia dose di religiosità nell’infanzia deve averlo scoraggiato. Gli davano particolarmente fastidio i predicatori bigotti. Ammirava e rispettava tuttavia ogni religione e la sua fede in Dio non ha mai vacillato”, scrive Bob Thomas in Walt Disney, An American Original. “La maggior parte degli storici concorda che l’autorità e la natura talvolta crudele di Elias – e la sua propensione a frustare e picchiare i figli – abbiano giocato un ruolo nella rivolta di Walt e Roy contro la chiesa. La bivalente relazione dei due fratelli con le religioni organizzate è ben documentata, come la loro forte, personale, fede in Dio” (Mark I. Pinsky, The Gospel According to Disney : Faith, Trust, and Pixie Dust).  Insomma, per quanto Walt non volesse recuperare formalmente una visione confessionale della fede essa, almeno ufficiosamente, doveva averlo segnato nel bene e nel male molto profondamente (alcuni interpreti dei suoi lavori ritengono addirittura che l’assenza di figure figliali nei primi cortometraggi con Topolino, Minnie, Paperino e Paperina eternamente fidanzati e circondati solo da centinaia di orfani o dai nipotini Qui, Quo, Qua, sia frutto di un retaggio sessuofobico puritano). Sentiamo ancora Introvigne: “Sbaglierebbe chi […] dalla dichiarata passione di Disney per la massoneria volesse ricavare un giudizio su tutta la produzione disneyana come ispirata ai valori massonici. Da una parte, Disney si è limitato alla supervisione di prodotti confezionati da numerosi artisti, di diversissime sensibilità. Molti dei principali disegnatori e sceneggiatori disneyani non solo non erano massoni ma s’ispiravano a valori piuttosto conservatori e anche esplicitamente cristiani. Dall’altra, nella California dell’epoca in cui Disney diventa massone, negli anni ’20, i membri delle logge sfioravano i centomila. Questo significa che essere massoni – al di fuori dei cattolici, ben consapevoli della condanna della Chiesa – in California non era riservato a un’élite: era del tutto comune per i borghesi, e anche per i piccoli borghesi di successo. Una forma – lo hanno notato storici delle idee come Margaret Jacobs – di “sociabilità diffusa”, pur sempre massonica come dimostrano i simboli scelti ma lontana dalla forte caratterizzazione ideologica delle logge italiane o francesi dell’epoca. […] Topolino, dunque, non è massone, e l’affiliazione massonica del suo creatore non è penetrata nelle storie, specie quelle delle origini, scritte da non massoni e ricche di valori morali, oltre che di delicatezza e di poesia”. La stessa figlia di Walt, Diane, sottolinea: “[Visti i suoi trascorsi con la chiesa] posso capire il suo atteggiamento libero verso la nostra religione. Ha voluto che noi [le sue figlie] fossimo religiose. Credeva categoricamente in Dio, davvero categoricamente, ma credo che ne avesse avuto abbastanza da bambino [delle religioni organizzate]” da Pat Williams, How to be like Walt.
Affermazioni illuminanti di Walt come: “Dico a me stesso ‘Vivi una buona vita cristiana’. Verso tale obiettivo piego ogni sforzo nel plasmare la mia attività e la mia crescita personale, domestica, professionale”, sono indicative del suo reale atteggiamento di condivisione religiosa;  indizi che permettono di cogliere una lontananza dai campanili misurata e certamente non livorosa. Del resto alla grande inaugurazione di Disneyland, il 17 luglio 1955, non mancò un solenne momento di preghiera collettiva di suggestivo completo silenzio. Disney invitò a condurre la preghiera il Reverendo presbiteriano Glen D. Puder, suo nipote acquisito. Da notare la presenza (certo anche per motivi istituzionali), di tre cappellani militari rappresentanti le tre maggiori religioni d’America: cattolicesimo, protestantesimo ed ebraismo. Dopo la lettura da parte di Walt della dedicazione del parco ai suoi visitatori (con voce rotta dall’emozione), in un momento di silenzio il commentatore della diretta tv osserva: “I cappellani militari rappresentano i vari credi presenti, ma tutti sono accettati…”  venendo interrotto dalle parole di Puder, nel frattempo avvicinatosi al microfono per la preghiera: “Ho conosciuto Disney per molti anni, e sono stato a lungo consapevole della  motivazione spirituale nel cuore dell’uomo che aveva sognato l’esistenza di Disneyland. Uniamoci a lui allora nella dedicazione di questi acri straboccanti di meraviglia, a quelle cose care al suo e al nostro cuore. Alla comprensione e alla buona volontà fra gli uomini, risate per i bambini, ricordi per gli adulti e ispirazione per i giovani di qualunque luogo. E aldilà dei credi che ci separerebbero, uniamoci in una preghiera silenziosa, che questo e tutti i meritevoli sforzi siano prosperi alla mano di Dio. Chiniamoci in preghiera.”  – CONTINUA



AGGIORNAMENTI FLASH
7 novembre 2011, 10:24 am
Filed under: News

Sister Act non sarà un film tra i più profondi, ma ha fatto un vero botto nell’immaginario pop ponendosi con atteggimaneto serenamente catholic-friendly. Quando il cinema negli ultimi anni ha ripiegato sulla strada dei sequel, dei prequel, dei remake, agli affezionati del titolo è parso plausibilissimo che si mettesse in cantiere il terzo capitolo… Sono rimasti delusi, ma hanno ottenuto in cambio che la forza del primo film si riversasse in un musical a detta di molti ben riuscito. Da fine ottobre Sister Act – il musical divino, è approdato sul palcoscenico del Teatro Nazionale di Milano, e per presentarlo è arrivata la sua storica interprete ora produttrice, Deloris Van Cartier / Whoopy Goldberg, che per l’occasione ha fatto qualche dichiarazione interessante a proposito del suo grande successo del ’92: “La cosa più strana che è successa con Sister Act è stata che vere suore, la chiesa cattolica ed anche altre chiese di altri culti che hanno a che vedere con musica sacra, hanno tutti preso la musica del film e ne hanno tratto degli inni, dei canti per la loro chiesa. Io mi sono aspettata per anni di essere colpita da un fulmine, dopo aver fatto il film. Ma che si creda in Dio o no non è nemmeno importante, ad esserlo è l’idea che queste donne abbiano creduto di poter fare la differenza e cambiare il mondo con il loro amore. E adesso capita di vedere tanti, tanti – posso dire pinguini? – fra il pubblico in sala. Eserciti di pinguini. il musical celebra le suore e la loro sorellanza, di cui raramente si parla” . Qui l’intervista integrale.

La strada di Paolo. È stato presentato al Festival Internazionale del Film di Roma  l’ultimo film di Salvatore Nocita, prodotto da Fai Service (Federazione Autotrasportatori Italiani) in collaborazione con Rai Cinema e il Pontificio Consiglio della Cultura (il cui presidente, il card. Gianfranco Ravasi, ha attivamente partecipato, assieme al card. Angelo Scola, come consulente del regista). Il film racconta la storia di un viaggio in Terra Santa: Paolo fa l’autotrasportare e approda a Gerusalemme insensibile all’idea di Dio, la vede come se fosse una delle altre mille città in cui ha dovuto recarsi nel corso della sua vita. Ma Gerusalemme non è una città come le altre… e in un percorso di comprensione, apprendimento, ascolto…anche Paolo dovrà rendersene conto. Eccovi il trailer.

Home Video: Tra pochissimo verrà rilasciata la versione DVD di The Tree of Life… dal 9 novembre!

Little Boy: Nei cantieri della Metanoia Films, nota al pubblico cattolico per aver reso possibile il magnifico Bella (Monteverde, 2006), c’è un nuovo titolo: Little Boy. Possiamo immaginare, visti i precedenti di quest’etichetta (sommati al nome di Eduardo Verastegui, stavolta produttore), un sottotesto di chiara ispirazione cristiano- cattolica. Il plot svolge un dramma famigliare in una cittadina americana nei primissimi giorni della seconda guerra mondiale. Il protagonista è un bambino di 8 anni con problemi dello sviluppo: l’unico suo vero amico è il padre, il quale purtroppo sarà costretto a lasciarlo da solo a confrontarsi con la crudeltà dei compagni di classe all’indomani della partenza per la guerra. Ad agosto le riprese erano ancora in corso… dunque, al solito, aspettiamo!



PERSONAL #8: WHO’S YOUR HERO?
4 novembre 2011, 11:12 PM
Filed under: Personal

Accetto volentieri l’invito di Lucyette a partecipare alla sua blog-catena di S. Antonio WHO’S YOUR HERO? Dopo l’iniziale entusiasmo mi sono però imbattuto in alcuni problemi: 1) il più grave: nutro per tutti i santi il generico e indiscriminato misto di venerazione, affetto e interesse che meritano… ma non ho una particolarissima predilezione per uno (o cinque) di essi!; 2) dato che sarebbe bello incastrare cinema e santi (come mi si suggerisce), sono costretto ad ammettere che non solo la mia conoscenza del cinema è tutt’altro che esaustiva… ma anche che molti film sui santi li ho visti secoli e secoli e secoli fa… mentre altri semplicemente non li ho ancora visti! 3) ogni volta che entro nel mio blog medito di cambiare la dicitura del menù qui a sinistra da “amici” in “blogroll”… in modo da poter linkare chi mi pare. Come se non bastasse ho proprio l’indole del lurker… come li trovo cinque blogger da coinvolgere?

La cosa più simile a una speciale affezione che posso offrire nella scelta è il trasporto tutto particolare che ho provato trovandomi nei luoghi protagonisti nel culto e nella celebrazione della memoria di alcuni santi. Pensavo, per dare un tono “cinefileggiante” alla cosa, di scegliere per raffigurare il santo un’immagine tratta da un film e, se possibile, tracciarne per ognuno un sintetico profilo cinematografico. I miei santi saranno di una banalità disarmante… ma pazienza.

I – Iniziare una catena di S. Antonio con S.Antonio è senza ombra di dubbio originale (dato che è talmente banale che nessuno ci avrebbe nemmeno mai pensato). Avendo sempre recitato una particolare preghiera   a Sant’Antonio per gli studenti (per me quindi!)*, una volta all’anno vado a dirgli grazie e… “mi raccomando, tieni duro!”. Fra l’altro ci sono stato giusto la scorsa domenica. S. Antonio è un po’ una superstar fra i santi e fa sempre effetto vedere quante persone ben più sofferenti di un semplice studente passino a dire una preghiera davanti alla sua tomba. È una figura sentitissima, un vero protagonista del panorama agiografico. A parte due titoli muti e la versione di Francisci del 1949, restaurata nel 2007 ma ancora introvabile (e “consigliabile solo alle anime pie”, dice il Morandini  a p.99, rendendocelo solo più interessante), abbiamo le due belle versioni televisive: quella di Umberto Marino (2002) e quella di Bellucco, Antonio guerriero di Dio (2006), per il quale ho trovato un interessante video intervista-backstage. Cerca che ti ricerca mi sono imbattuto anche in una versione animata in digitale per bambini del 2007, Saint Anthony, della Difarm Inc (qui il trailer). Nelle foto: Jordi Mollà, Antonio in S. Antonio guerrierio di Dio, e uno scorcio della Basilica di Padova dal Chiostro del Noviziato.

IIS. Marco. Un santo evangelista snobbatissimo dal cinema (ma è anche comprensibile: non tutti hanno tramandato una vita che si presti facilmente al racconto filmico). Gli sono legato perché la mia vita accademica è stata, per il periodo di qualche mese, intrappolata nella città di Venezia… un luogo che non ha bisogno di troppe presentazioni. Ripenso con un senso di liberazione a tutti quei giorni perduto nella folla di turisti, sempre di fretta, in un arcipelago gelido, ventoso, talvolta sommerso dall’acqua alta o spolverato da folate nevose. Di quei giorni ricordo bene il grandissimo senso di solitudine, la fatica, lo straniamento e certo… la strepitosa, incredibile bellezza di ogni singola calle e campo, ogni scorcio, ogni chiesa… Evitiamo troppe chiacchiere: ho scelto San Marco perché ho sempre trovato stupefacente che egli fosse davvero sepolto lì… e in tutto quei giorni, quando entravo per una preghiera la mattina presto e non c’era in giro ancora nessuno, ripercorrevo meravigliato, lasciando spaziare lo sguardo sulle alte volte dorate della Basilica, le avventurose vicende del recupero e trasferimento delle sue spoglie. Conoscete questa storia? Se non la conoscete qui potete trovare un riassuntino che val la pena leggere. Come anticipato di S. Marco non esiste, che io sappia, un film vero e proprio… compare solo in alcuni sceneggiati tv. Il più recente di questi, The Passion, è del 2008, ed è stato  prodotto dalla BBC (!). Ho preferito rivolgermi  per la scelta dell’immagine al più noto fra gli sceneggiati, ovvero il rosselliniano Atti degli apostoli del 1969 (cinque puntate). Nella foto, nei panni di S. Marco, l’attore Mohamed Ktari. Nell’altra foto, ovvaimente, la Basilica di S. Marco.

IIIS. Bernadette. Ovviamente parliamo di Lourdes… la Lourdes caotica e pacchiana dei supermercati di rosari, la Lourdes sconvolgente in cui di sera risuonano musiche da balera nell’aria,  della fede che si fa consumo, comfort a cinque stelle, souvenir… e che ti sbatte tutto questo in faccia costringendoti a vedere il tutto come un’assurda finzione commerciale… e che prima o poi, magari la seconda volta che ci torni… ti si stampa dentro per sempre. Una delle scene che ricorderò fino alla fine dei miei giorni è una messa in giapponese tenutasi nella grotta alle cinque di mattina. I magnifici canti mariani espressi in una lingua tanto differente dalla nostra, il senso di raccoglimento (saremo stati in tutto una trentina – io ero capitato lì “per caso”), la montagna di trolley impilata in un angolo che alludeva a un lunghissimo viaggio appena finito… mi ha regalato un momento di infinita suggestione. Ovviamente questo è solo un mio particolare ricordo, chi è stato a Lourdes (e crede) sa perché se ne sente la nostalgia. Per Bernadette la filmografia è decisamente più vasta: prima del bellissimo e famoso The song of Bernadette (Henry King, 1943), c’era stato il film muto La vie merveilleuse de Bernadette, di Georges Pallu, già nel 1929. In seguito, appena nel ’60 Il suffit d’aimer (Robert Darène) e poi una versione spagnola, Aquella joven de blanco (León Klimovsky, 1965). A segno dell’ inesausto clamore suscitato dalle miracolose vicende francesi, alla fine degli anni ’80 abbiamo ancora Bernadette (Jean Delannoy) e ancora, appena un anno dopo, La passion de Bernadette (ancora J. Delannoy). Fra le versioni tv scelgo di segnalare solo l’italiana Lourdes, (Lodovico Gasparini, 2001), dato che eccezionalmente Vittorio Messori (molto coinvolto dalla vicenda – ricordo che attualmente sta scrivendo un’opera sull’argomento) ha collaborato alla sceneggiatura. Termina il percorso un titolo ancora una volta francese, Je m’appelle Bernadette (Jean Sagols), di imminente uscita. Ne approfitto infatti per proporvi il trailer:

IVS. Michele Arcangelo. Mi chiedo a chi potrebbe non piacere S. Michele. Insomma, assomiglia a una specie di superman cattolico, un superhero! Un santo arcangelo orfano di film (mi sento però di essere comprensivo) ma, per consolazione, patrono di uno dei posti più mozzafiato ch’io abbia mai visto! Se non siete stati a Mont Saint Michel, cari lettori, cancellate crociere, week-end dai parenti, settimane a Lignano o Milano marittima… e andate a vedere che cos’è quel posto. Per andarci ho trascorso una snervante settimana in camper… ma la rifarei mille volte ancora per tornare proprio lì, in un luogo per il quale usare il cliché descrittivo “dove cielo e terra si toccano” è talmente calzante da essere obbligatorio. Un luogo pregno di spiritualità e storia dove la meraviglia arriverà a stordirvi, spazzando via ogni vostra eventuale tiepidezza. Non mi metto a raccontarvi nel dettaglio (per motivi di tempo e pertinenza) tutta la mia vacanza, ma sappiate solo che sotto un crudele acquazzone scrosciante (come se l’umidità della marea non fosse stata sufficiente), entrare in quella chiesa di fredda e nuda pietra sulla sommità del monte-cittadina-monastero, dove i canti gregoriani di una messa in corso rimbalzavano contro volte di gotica vertigine… è stata un’esperienza davvero trascendentale. Film: tasto dolente. Un arcangelo, che è anche un capo militare, che è anche uno che fa qualcosa di concreto nell’Apocalisse… non poteva non finire dentro dozzine di fumetti e filmetti fantastico-catastrofici. Per orizzontarmi nella selva di titoli e titoletti (per il 90% del tutto indifferenti a una visione ortodossa della figura dell’arcangelo) dovrei sottopormi a un’approfondita sessione di studio degli stessi… e questo post è già moooolto in ritardo rispetto all’invito. Quindi accontentatevi (per ora) della magrissima immagine tratta dal film TV San Giovanni – L’Apocalisse, Raffaele Mertes, 2002 (un tragico esempio di come i buoni propositi possano, senza consistenti iniezioni di denaro, essere insufficienti). Nel testo di Giovanni (Ap 12, 7-9) si parla di una “guerra nel cielo” nella quale vince “Michele coi suoi angeli”, ma nel film abbiamo un metaforico vortice composto di una forza bianca e una nera che si confrontano in un corpo a corpo. Non ho nulla in contrario alle rappresentazioni simboliche, anzi: trovo che nelle ristrettezze esse siano l’unica alternativa decorosa. Nella foto vedete (si fa per dire) “S. Michele con i suoi angeli”, e qui sotto invece Mont Saint Michel.

VAntoni Gaudì. Pur potendo scegliere fra qualche altro santo, magari di mastodontica tradizione (sia di fede che cinematografica – San Francesco o Giovanna d’Arco, per esempio) ho preferito, vista la possibilità di farlo, rivolgermi a un personaggio per cui il processo di beatificazione è ancora in corso (e sul quale non sono stati fatti che pochi documentari). Barcellona senza la Sagrada Familia sarebbe una città infinitamente meno interessante di quella che è adesso… Resterebbe una bella città, ma le mancherebbe il proprio simbolo, il simbolo di quell’identità specialissima che nasce e muore intorno alla figura del geniale architetto Gaudì. Nonostante non a tutti possa piacere questo particolare stile (ricordo lo sguardo sgomentato del mio ex-parroco davanti al tempio in costruzione e la sua incredulità alle mie parole: “Ma sì! Le dico che sono sicurissimo: è in corso il processo di beatificazione!!!”), la Sagrada Familia trasuda sacralità da ogni mattone. Io la vidi quando ancora gli interni erano solo un coacervo di impalcature, attrezzature e pulviscolo, ma ne fui colpito perché, sebbene conscio che molto poco di quanto rimasto fosse del tutto autentico (visto l’odio anticattolico degli anni ’30 che si spinse sino ad omicidi nel cantiere e a vandalismi sulla facciata della natività, facendo poi un rogo dello studio dell’architetto contente i progetti per il futuro a lui precluso), un’impronta dell’originario misticismo dell’architetto mi sembrava riconoscibilissima e, condizionato dalle notizie biografiche raccolte prima del viaggio, la sensazione che ogni calcolo fosse stato espresso come una preghiera… molto nitida. Sono sempre stato in attesa di un film che celebrasse l’estro creativo di questo grande testimone della fede, ma soprattutto il suo profondo spirito cattolico, ed è stato quindi con vero giubilo che ho appreso che proprio nel corso di questo mese (se tutto dovesse procedere secondo quanto annunciato dal regista Don Massimo Manservigi già ad agosto) verrà presentato a Roma Le sette porte. “È un lavoro già da due anni in cantiere” dice il regista, “[…] ed è stato commissionato dalla Diocesi di Barcellona per fare una sorta di biografia e approfondimento della vita di Gaudì, non sotto l’aspetto tradizionale e ormai conosciutissimo della sua grandezza artistico-architettonica, ma piuttosto della dimensione della sua vita di fede. Quindi il Gaudì della fede, essenzialmente. Si chiama Le sette porte perché si ispira al numero delle porte che sono state progettate (e stanno per essere costruite), della facciata principale della Sagrada Familia (la facciata della gloria), sono le sette porte per entrare nella chiesa che rappresentano i sette sacramenti. E siccome Gaudì e la Sagrada Familia sono speculari nei loro contenuti, l’accesso all’uno non può che essere l’accesso all’altro… e quindi ci sono sette porte anche per conoscere il Gaudì della fede. Il lavoro era già finito a settembre dell’anno scorso. Poi è successo che il Papa (e a me questo, voglio dire, è piaciuto moltissimo però mi ha creato una difficoltà), è andato a Barcellona a inaugurare la navata centrale con l’interno tutto rinnovato. Il lavoro era stato fatto con la navata non ancora conclusa e quindi il risultato finale era non dico da buttare… ma da rinnovare completamente. Quindi quest’anno sono state girate le riprese con l’interno come è stato inaugurato” (fonte). Chiudo con questa notizia cinematografica semplicemente stupenda. (Nella foto, provvisoriamente, il Gaudì autentico).

Ecco fatto! In ritardo come sempre ma è fatta (con la tempistica di questo periodo questo post l’avrò scritto in qualcosa come dieci micro-sessioni). Ringrazio Lucyette e rimbalzo la palla a blogger per forza di cose già nominati: Lucyette e Cecilia. Poi provo a coinvolgere Thérèse e Davide

Alla prossima!

* L’ unica notizia che non vai a controllare (perché in fondo sei certo di quello che stai dicendo) deve sempre essere sbagliatissima! Prima del testo che potete leggere adesso, avevo scritto che S.Antonio è il patrono degli studenti… assolutizzando quella che invece è una particolare declinazione devozionale consolidata in un circuito -non troppo ristretto in realtà- di parenti/conoscenti/amici. Grazie mille a Je per l’intervento di salvataggio!)