LA LUCE IN SALA


THE LEDGE – IL FILM ANTICRISTIANO FA TREMARE… I PRODUTTORI
31 agosto 2011, 2:17 PM
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A volte si leggono notizie così rasserenanti e scritte in modo così divertente… che verrebbe la tentazione di tradurle (un po’ a braccio e secondo le proprie possibilità, of course) e riproporle sul proprio blog!  

“BROKEBACK MOUNTAIN ATEO”, FILM BOMBA

Se un film ateo fa fiasco ai box office, fa rumore? No, per i media non lo fa. Me è per questo che noi siamo qui a evidenziare queste cose.

Ricordate il film The Ledge? Bene, certo che non lo ricordate. Nessuno lo ricorda. Penso che perfino gli attori che l’hanno fatto (e ce n’era qualcuno di grosso) stiano lavorando su una smentita plausibile. The Ledge è uscito nel corso dell’estate ed è stato pubblicizzato come il “Brokeback Mountain ateo”. E lo intendevano in senso positivo, come sapete.

Il regista Matthew Chapman l’ha esplicitamente etichettato come “il primo film genuinamente pro-ateismo.”

Essenzialmente, la trama parla di una graziosa donna cristiana, sposata e oppressa (sappiamo che è oppressa perché il bottone più alto della camicetta è abbottonato) che incontra uno smaliziato, assolutamente ‘in’, tizio ateo che… le sbottona il bottone più alto, se capite cosa intendo.

Il grosso, cattivo, marito cristiano oppressore patriarcale, che inizia a non essere così simpatico e cristiano, minaccia di uccidere sua moglie se il tizio ateo non salta giù dal cornicione. L’ateo sacrificherà sé stesso per il prossimo? Rullo di tamburi prego. Mi trattengo a stento dallo… sbadigliare.

Chapman ha rilasciato interviste ad ogni sorta di sito web e gruppo ateo, e il risultato è stato… rullo di tamburi prego… 5,176 $. No, non ho tolto alcuno zero. Il film ha fatto 5,176 dollari. E l’Internet Movie Database riporta che ha avuto un budget di 10.000.000. Ouch!

Mr. Beaver ha fatto più di così. ED ERA BASATO SU UN PUPAZZO!!!!

Penso che una delle cose che non ha giovato al film non sia stato l’indirizzo ateo. È stato il fatto che si trattava di un film anti-cristiano. Invece di mostrare i comportamenti atei nelle situazioni drammatiche in cui gli atei possono trovarsi, il regista ha scelto di portare l’ateismo in una battaglia contro una folle caricatura cristiana. E suppongo che le persone di un paese a maggioranza cristiana abbiano deciso di non vederlo.

Questo mostra davvero soltanto che gli atei possono fare film brutti tanto quanto quelli cristiani – e diciamo la verità, ci sono stati alcuni film cristiani davveeeeeeero brutti. Ma almeno i cristiani fanno film brutti perché hanno buone intenzioni, gli atei non hanno nemmeno questa scusa.

Il fatto è che questo film era tanto religioso quanto i più predicatori fra quelli cristiani, solo che questi non lo sapevano.

Gli atei morti si rivolterebbero nelle loro tombe, se non fossero svaporati nel nulla. Ma questo è quello che ho sempre sospettato, alcuni atei annoiano perfino sé stessi.

Questo film non avrebbe potuto tenere lontano gli atei dalle comment page cattoliche per nemmeno 90 minuti! […]

Matthew Archbold (testo originale)

***

Ahahaha… delizisamente caustico. Quanto basta: date un occhio al trailer.

5.176$? Ovvero in questo istante 3.582,50 €? Non può essere. Fatico seriamente a crederci. É un flop troppo gigantesco… lascio la responsabilità dell’informazione tutta nelle mani di Mr Archbold. Fossi l’agente del bravissimo Patrick Wilson (il cattivone nella foto che sta per regalare al film il lieto fine, credo) o dell’affascinante Liv Tayler,  per la prossima volta sceglierei una bella agiografia. É un consiglio valido anche per i produttori, direi… Ma bando alle stuzzicherie varie che non fanno mai onore a nessuno… trovo che Mr. Archbold, tra una stilettata e l’altra, abbia preso il la per un suggerimento classico che i nostri compari atei non dovrebbero dimenticare (come fanno sempre), e applicarlo presto-detto al cinema: ateo non vuol dire anticristiano.



IL CANTICO DI MADDALENA, A RIMINI LA PRIMA NAZIONALE
30 agosto 2011, 8:38 am
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Il 25 agosto, nel contesto del 32° Meeting di Rimini, si è svolta la prima nazionale dell’ultimo film di Mauro Campiotti, Il cantico di Maddalena. Il film racconta la vicenda umana e spirituale della Beata Maria Maddalena dell’ Incarnazione (1779 – 1824), entrata nel monastero delle Suore Terziarie Francescane di Ischia appena sedicenne, dopo aver ricevuto una visione di Cristo sofferente e aver di conseguenza respinto le lusinghe della ricchezza in cui era stata cresciuta. La beata è ricordata soprattutto, oltre che per la fama di santità (e alcuni miracoli), per l’istituzione di una congregazione religiosa centrata nella perpetua adorazione di Cristo Eucaristica (le Adoratrici Perpetue del SS.Sacramento, attualmente diffuse in oltre 90 monasteri). A movimentare la situazione (e la trama del film) lo sgradito apporto dei soliti distruttori napoleonici.

Dal trailer si intuisce una buona freschezza di ricostruzione e, se qualche soluzione narrativa potrebbe ricordare le fissazioni televisive, interviene prontamente chi il film ha potuto vederlo,assicurando che “è veramente bello, sia sotto l’aspetto estetico che di contenuto. Non è un film sdolcinato sullo stile delle fiction religiose che ci vengono propinate da Rai Uno e Lux Vide, ma è essenziale nel far emergere il carisma e l’incontro personale con Gesù da parte di Suor Maria Maddalena. È un film che non deve fare audience, ma rappresentare il cuore dell’azione della beata e la sua vita”. Qui un punto di riferimento per tutte le informazioni relative al film, con la possibilità di trovare i contatti per organizzare proiezioni impreziosite dall’intervento dell’attrice protagonista (Silvia Ferretti), o dalla testimonianza di alcune suore di clausura.



AGGIORNAMENTI FLASH: THERE BE DRAGONS – ZANUSSI
25 agosto 2011, 6:22 PM
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Vi segnalo quasi prontamente alcuni articoli di notevole rilevanza.

Il primo è persino cruciale: una recensione in anteprima firmata da Vittorio Messori dell’atteso (e potenzialmente spinosissimo) There be dragons.

Charlie Cox alias Josemarìa Escrivà

Abbiamo motivo di attendere l’uscita italiana (fine autunno) con entusiasmo, dato che l’autore, grande apologeta ed esperto di cultura cattolica (con un libro illuminante dedicato all’Opus Dei sulle spalle) dice: Sfidando la rimozione attuale  di quei massacri (i più sanguinosi dopo quelli della Francia del Terrore) [l’autore si riferisce alla furia anticattolica perpetrata dalle forze di sinistra nell’epoca pre-franchista] l’ebreo agnostico Joffé fa certamente opera politicamente scorretta, dunque meritoria. Ma fa  opera di informazione onesta anche mostrando come il giovane don Josemarìa non solo non ebbe parte alcuna in quella guerra, ma pur tra i perseguitati, scampando a stento alla strage, non chiese vendetta, non esortò alla crociata ma cercò in tutti i modi di portare pace e tolleranza. Nessun schieramento di parte, in lui, ma solo la pratica di quella che don Bosco chiamava “la politica del Pater Noster”. Se lo dice Messori andiamo pure tranquilli. Qui l’articolo.

Il regista Krzysztof Zanussi

Il secondo articolo è tratto da Avvenire e riporta un’intervista davvero interessante al regista cattolico polacco Krzysztof Zanussi, presidente di giuria al Meeting Rimini Film Festival di quest’anno (conclusosi ieri sera). Vi riporto così, un po’ per premessa, una delle affermazioni più significative per questo blog: “Per fortuna c’è ancora spazio per il film dedicati alla tra­scendenza e ai valori. Film come Uomini di Dio e Il grande silenzio hanno avuto grande successo. Questo si­gnifica che nel cinema c’è un vuoto e che c’è un pubblico che ha bisogno di opere co­sì profonde”. Qui l’intervista.

Alla prossima!



LA UNIVERSAL BOCCIA “OUIJA”
24 agosto 2011, 3:02 PM
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Tutti siamo stati bambini e tutti di conseguenza conosciamo la Hasbro. Ma come potremmo non conoscerla? Stando alla mia esperienza i giochi in scatola sono davvero uno strumento di aggregazione fenomenale, divertenti, spesso geniali, capaci di salvare persino le serate meno riuscite. Dalle mie parti sono un po’ un’eccentricità se avete superato gli anni infantili… eppure hanno larga presa sul pubblico adulto tanto che parecchi marchi ne concepiscono di accuratamente mirati.  Per gli adulti (ma non esclusivamente per loro) ne esistono di tantissimi tipi… di ispirati al mondo del giallismo britannico vecchia scuola (Cluedo), ai premi a quiz più difficili (Trivial Pursuit), alle imprese di strategia bellica (Risiko)…  ne esiste uno poi che non si ispira proprio a nulla, ma è importato direttamente, paro-paro, dall’occultismo tradizionale. Si può credere, si può tranquillamente non credere… si può pensare che si tratti di baggianate superstiziose… scherzi della propria percezione (ideomotori, per dirla con Wikipedia). Si può prendere in considerazione,volendo, il parere di alcuni eminenti esorcisti… ed evitare assolutamente di pensare a simili giochetti… così, giusto perché la vita è già abbastanza complicata. L’ Ouija Board nasce come (sedicente) sussidio per la comunicazione coi defunti dal XVIII secolo. Oggi è il simbolo dello spiritismo fai da te e… osservo fra l’ammirato e il perplesso, commerciata come gioco in scatola consigliato (lo leggo solo ora altrimenti mi sarei risparmiato la perifrasi sui giochi da adulti) dagli 8 anni in su! Wow.

Al cinema possiamo ricordare alcune Ouija famose… la più significative per questo blog resterà sempiternamente quella di Regan ne L’Esorcista (Friedkin, 1973), utile alla piccola per comunicare col simpatico Capitan Howdy (Gaio in italiano), che passerà ben presto dalle parole ai fatti. (Notate l’accuratezza di questo titolo, il quale cerca di esprimere tutto quello che c’è seriamente da dire sull’argomento…persino sulle possibili cause concrete di quello che avverrà, impetuosamente, di lì a poco). Ma di tavolette ce ne sono state parecchie… mi vengono in mente quella de Le verità nascoste, (Zemeckis, 2000) quella dell’orribile Long Time Dead (Adams, 2002), o del recente  Paranormal activity (Peli, 2007). Insomma, le allusioni… diciamo pure “dark”, all’impiego di questi oggetti non mancano, ma se sulla scatola c’è scritto dagli 8 anni, devono essere pure e semplici fantasiosità cinematografiche!  …E poi l’ultima versione brilla pure al buio!

Una scena dal film L’Esorcista: La piccola Regan intrattiene allegramente sua madre.

Come mai questo sproloquio? Per dare quella che è una bella notizia. Da qualche anno l’ampia produzione cinematografica accusa dei vuoti di contenuto, una risacca creativa (la notizia buona è più sotto!)… e si è pescato a piene mani dal mondo dei fumetti, dei cartoni, dei vecchi titoli cinematografici… infine, degenerando con un chiaro intento commerciale, al mondo dei giochi.

Ebbene: la Universal ha abbandonato il progetto Oujia nato con lo specifico compito di rilanciare questo “gioco” da tavolo! Lo dimostra chiaramente la penale di 5.ooo.ooo $ versati alla disillusa Hasbro dalla nota casa di produzione. Un giorno triste per il genere horror? Non lo so… non mi piacciono i film-spot a prescindere, anche se questi argomenti mi affascinano sempre (lo dico da amante dell’horror).

La notizia è buonissima. Credete a queste forme di spiritismo? Se avete senno siete al riparo! Non ci credete? Tanto meglio, vuol dire che non avreste provato comunque! In ogni caso meno si diffondono strumenti maligni o di superstizione (fate voi), meglio è,  giusto?



FOTOGRAMMA/PENSIERO #15: MANGIA PREGA AMA
21 agosto 2011, 11:35 PM
Filed under: Fotogramma/Pensiero

(Eat Pray Love, USA 2010, di Ryan Murphy)

Non so voi, ma se io dovessi fare un gioco in cui si deve mangiare-pregare-amare in tre diversi luoghi, Roma-India-Bali… farei l’impossibile per scegliere di mangiare a Roma. Oddio… a differenza della protagonista non mi entusiasmerei entrando con lo sguardo in una macelleria (né sentirei Mozart mangiando un piatto di spaghetti col sugo – ma sono Italiano: ho gli anticorpi contro la sindrome di Stendhal gastronomica). Quello che voglio dire è che il cibo indiano lo proverei… sono curioso e aperto verso tutto, mi piace provare tutto… ma se dovessi ‘MANGIARE nel pieno senso del termine’… no no… sceglierei proprio Roma, sono sicuro. Ecco, anche Liz la pensa così ma, pur condividendo il mio entusiasmo per i piatti mediterranei, il suo ragionamento centrale è un altro… non importa granché che lei sia alla ricerca disperata di Dio e sia occidentale e si trovi nell’epicentro del cristianesimo: lei entra in una chiesa… insomma la religione italiana la prova, è curiosa e aperta verso tutto, le piace provare tutto… ma se deve ‘PREGARE nel pieno senso del termine’, cavoli… niente di più logico e immediato che fuggire di corsa in un centro di meditazione indiano. Non mi aspettavo che un titolo contenente la parolaccia “prega” (girato parzialmente a due passi dal Vaticano), offrisse un momento di ispirazione cristiana (come del resto non mi aspetto che chiunque entri in una chiesa debba avere automaticamente una rivelazione)… ma pensavo almeno che al solito cliché di un’Italia anni ’50 dove si discute dal barbiere e non c’è l’acqua calda, non si aggiungesse automaticamente l’aggravante di  azzerare, assieme alla nostra complessità culturale… la millenaria esperienza del cristianesimo.

Ho scelto questo fotogramma, e non un’immagine della Roberts in chiesa, perché mi sembrava più originale e simpatico… oltre che più rappresentativo dello spirito del film.



IO SONO CON TE
18 agosto 2011, 8:47 am
Filed under: Storia sacra

Sono felicissimo (e onorato) di ospitare su questo spazio il contributo di una stimata collega blogger: Lucyette. Non cedo alla tentazione di ulteriori commenti (l’articolo parla da sé), ma mi affretto piuttosto ad un pubblico ringraziamento per l’interessamento e l’impegno speso: grazie!

(Io sono con te)

It 2010 di Guido Chiesa, con Nadia Khlifi, Rabeb Srairi, Mustapha Benstiti, Giorgio Colangeli, Fabrizio Gifuni, Mohamed Idoudi, Djemel Barek, Fadila Belkebla, Mustapha Benstiti, Carlo Cecchi…

Di Guido Chiesa, si potrebbe dire che è un regista 2.0. Ha un canale su YouTube, dove mette a disposizione degli internauti alcuni spezzoni dei suoi film. Ha un sito Internet aggiornato, con tanto di blog in cui condivide col pubblico le sue impressioni. Ha un indirizzo e-mail a cui potete contattarlo: ha assicurato di rispondervi.
Si tratta, insomma, di un regista che ama interagire col suo pubblico, per confrontarsi con gli spettatori e dialogar con loro. Non fa dunque meraviglia che, in occasione del suo lancio in DVD, il regista abbia voluto organizzare una proiezione del suo ultimo film, Io sono con te, a cui ha espressamente richiesto di poter far seguire un dibattito col pubblico.
Quel giorno, ero fra i presenti in sala.
È stato un dibattito interessante, che ha fornito agli spettatori nuove chiavi di lettura. Mi è sembrato che, per il pubblico abituale di questo blog, un piccolo “sunto” del dibattito potesse essere di particolare interesse… e dunque eccomi qua, grazie alla gentile ospitalità di Filippociak.

***

È interessante, innanzi tutto, ascoltare dalla viva voce degli autori la genesi di questo film.
Io sono con te nasce un pomeriggio di tanti anni fa, davanti a una scuola. Due mamme, che aspettano il suono della campanella per portare a casa i bimbi, incominciano a chiacchierare fra di loro, per far passare il tempo. Discutono di maternità, di bambini, e della fatica di educare i figli.
A un certo punto, una delle due mamme, che è cattolica, comincia a parlare di Maria di Nazareth. La porta come esempio di mamma ideale, citando passi evangelici che lasciano intravvedere come la Vergine Maria adottasse una pedagogia del tutto particolare, (e molto innovativa, per l’epoca!), nei confronti di suo Figlio.
L’altra mamma, che è atea, ascolta folgorata. Naturalmente conosceva anche lei i principali passi evangelici, ma non aveva mai pensato alla Madonna sotto questo punto di vista.
Tornata a casa, ne parlerà con il marito.
Il marito, molto colpito da queste suggestioni, deciderà di girarci sopra un film.

(E… a proposito. Il film porterà con sé, per i due sposi, anche il dono della conversione).

***

Io sono con te, effettivamente, è la storia di una mamma.
Come avrebbe potuto, Gesù di Nazareth, diventare l’uomo che è diventato, senza l’appoggio di una Mamma meravigliosa e completamente al di fuori dell’ordinario?
E del resto: se avevano la consapevolezza di star allevando il Salvatore del Mondo, come avrebbero potuto, Maria e Giuseppe, punire il figlio con la violenza, o magari soffocarlo con un affetto troppo opprimente?
Alle radici di Gesù, secondo l’interpretazione di Guido Chiesa, sta una Mamma che non ha avuto paura di sfidare le convenzioni, per fornire al suo Bimbo una educazione (più) completa e valida.

Per portare avanti questa tesi, il regista si serve del testo evangelico ma anche di alcune suggestioni esterne, che arrivano da esperti che hanno decisamente poco a che vedere con l’esegesi biblica.
È il caso, ad esempio, di Alice Miller, una psicoterapeuta ebrea polacca che si è dedicata per molti anni allo studio delle violenze sull’infanzia. Guido Chiesa cita anche Michel Odent, un ostetrico francese che da tempo si batte per la de-medicalizzazione del parto e per il superamento di quell’atteggiamento secondo cui la gravidanza e il puerperio sono una sorta di “malattia”.
Entrambe gli studiosi, sorprendentemente, hanno citato Maria nei loro saggi – in termini innovativi, niente affatto blasfemi, ma capaci di farci intuire che tipo di donna potesse essere la Vergine. Ad esempio, Odent, battendosi contro l’eccessiva medicalizzazione della gravidanza, cita la nascita di Gesù come uno straordinario esempio di parto naturale. La Vergine ha partorito da sola, in un locale certamente non attrezzato, e senza neanche avvalersi dell’ausilio di una levatrice… e non si può certo dire che il risultato abbia lasciato a desiderare!

Il parto di Maria. Scena tratta dal film.

O ancora: la Miller cita la fuga di Gesù nel Tempio come un perfetto esempio di pedagogia improntata alla comprensione, e non alla violenza: Maria e Giuseppe, una volta ritrovato il figlio, non lo puniscono con uno schiaffo, ma gli chiedono “perché?”. Quanta differenza fra la comprensione di Maria e la rabbia cieca di alcuni compagni di viaggio, che nel film sarebbero disposti a dare a Gesù una bella lezione… ricorrendo anche alle verghe!


Per un po’ di farina: una scena dal film.
La giovane Maria, ancora incinta, prende le difese di un bambino della famiglia di Giuseppe, duramente punito per aver toccato il pane per il Tempio senza aver compiuto le abluzioni rituali. Il regista vuole mettere in evidenza, in questa scena, alcune caratteristiche della pedagogia mariana, fra le quali spicca innanzi tutto una forte critica alla violenza sui bambini (“per un po’ di farina?!”, protesta incredula la Vergine, quando il bambino viene picchiato da un parente). Comincia a farsi strada, inoltre, una visione della religione che porta ad un superamento delle regole più rigide dell’Ebraismo, ormai diventate arcaiche e inutili. Si veda a questo proposito un’altra scena, in cui Maria, cercando Gesù disperso a Gerusalemme, ritorna con la mente ai dubbi e alle perplessità che suo figlio aveva espresso, lungo gli anni, circa alcune tradizioni della legge rituale ebraica.



Si noti peraltro che sarà proprio Maria, riflettendo sulla psicologia di suo figlio, a capire dove possa essere il ragazzo… a differenza degli altri parenti, che non si preoccupano di capirlo, ma solamente di trovarlo.

In un’operazione decisamente inusuale, Io sono con te accoglie e sviluppa queste suggestioni.
Il risultato è un’opera che indaga i grandi problemi della maternità, dell’educazione, e del rapporto madre-figlio, in una innovativa, pacata e costante lotta della Vergine per arrivare ad una educazione più moderna, più giusta, e più umana. Forse, con una madre diversa da Maria, Gesù non sarebbe diventato l’adulto che è diventato. E allora, acquista improvvisamente un nuovo valore il sottotitolo di questo film: perché la nostra scala di valori, forse, oggi sarebbe diversa, se non fosse stato per Maria. Maria, “la ragazza che ha cambiato il mondo”.

***

Il film sorprende, anche perché porta avanti una interpretazione innovativa servendosi di episodi universalmente noti, ben presenti a ogni fedele. Le scene principali del film, in effetti, sono le stesse che si trovano nei Vangeli canonici: concepimento virginale, visita a Elisabetta, nascita a Bethlemme, incontro coi Re Magi, e fuga di Gesù nel Tempio. L’unico elemento che si avvicina alla tradizione apocrifa è la presenza di un Giuseppe già vedovo e con figli: il regista nega però di essersi volutamente rifatto ai Vangeli non canonici, avendo introdotto questo elemento soprattutto per ragioni di verosimiglianza storica.
A un primo impatto, nonostante ciò, il film può sorprendere. C’è una Natività senza pastori, una grotta senza cometa; c’è una Annunciazione che è data per scontata, senza mai mettere in scena l’angelo. Guido Chiesa, nel tentativo di analizzare la vita di Maria in tutta la sua concretezza più terrena, rinuncia volutamente a tutti quegli elementi che potrebbero dare al film un’atmosfera – mi si passi il termine – più “favolistica”. E del resto, l’autore non richiede neppure un atto di fede, rivolgendosi infatti anche a un pubblico di non-credenti.
Il proposito del film, del resto, non è quello di fornire letture teologiche o approfondimenti spirituali: lo scopo è, semmai, quello di riportare la nascita e la maturazione di Cristo nella sua natura, concretissima e tangibile, di evento storico. Evento storico di un bambino che nasce in una famiglia, che viene educato in un certo modo, e che infine diventa adulto, pronto per cambiare il mondo.

Un film che descrive un evento storico, dunque, in tutta la sua concretezza più terrena.
Anche perché – come sottolinea il regista – “se non fosse stato per questo evento storico, non ci sarebbe stato neanche il Cristianesimo”.



LOCATION CINECATTOLICHE #2
16 agosto 2011, 1:50 PM
Filed under: Location cinecattoliche, Pillole cinecattoliche

Abbiamo già parlato del film Romeo + Giulietta di William Shakespeare (Baz Luhrmann, 1996) in occasione del fotogramma/pensiero di San Valentino. Non lo ritirerei in ballo se non fosse per questa rubrichetta (che mi consente di sfogare alcune vere e proprie fissazioni). Avete visto il film? Grossa parte della genialità del progetto, a mio avviso, non sta tanto nello spostare cronologicamente il dramma shakespeariano per eccellenza, quanto nel rendere questo spostamento convincente e coerente col fascino delle ambientazioni originarie. La ricerca estetica è spregiudicata (lo è al punto da restare sullo stomaco a molti) e, come dicevo nel passato intervento, viene fondata grandemente sul contributo immaginifico del cattolicesimo, privilegiandone la declinazione kitsch. La ripresa della gloriosa tradizione religiosa antica nella sua variante mercificata, abbassata nello stile, nei materiali, nei cromatismi, vuole rendere visivamente la stessa operazione cinematografica in corso, la quale costringe Shakespeare nelle forme grottesche di una modernità scomposta. Si sceglie il cattolicesimo non solo, ovviamente, per la sua confidenza plurisecolare con le immagini, ma anche perché di fatto, esso è protagonista nella vicenda dei due innamorati.

Ecco allora, per arrivare finalmente al sodo di questo post, che la chiesa assume il ruolo di location primaria (accanto alla spiaggia/teatro sventrato). Mai come in questa complessa situazione la scelta dell’edificio è stata attenta… e mai come qui trovo che un’ architettura religiosa reale esprima perfettamente l’originale lavorio formale della pellicola. Da qui il desiderio di ritrovare quella chiesa, la chiesa di Verona Beach.

Si tratta della Iglesia del Purísimo Corazón de María, Colonia Del Valle, Mexico City. La Colonia Del Valle, amici giramondo che state già prenotando il biglietto, è la più grande della città; situata in posizione centro meridionale risulta favorita soprattutto dalle classi medio-alte. Ricchissima di grandi parchi e di alberi disseminati lungo le strade, prestigiosi centri commerciali nonché, oltre alla suddetta Iglesia, alcuni simboli della città: la Torre Mexicana, il World Trade Centre e il Polyforum Siqueiros. Ma veniamo subito alla Iglesia: con le sue mastodontiche dimensioni e la sua bellezza, la Iglesia del Purisimo Corazòn rappresenta il simbolo della zona anche per i non cattolici (passa difficilmente inosservata, insomma). Nel 1923 in questo spazio risultava completata una piccola cappella inadeguata ad accogliere la vasta popolazione della Colonia. Dal 1926 al 1929 le porte di questa chiesetta resteranno sbarrate a causa della Cristiada (assieme a quelle di altre 300 chiese cittadine). Al termine del conflitto le celebrazioni vennero legalmente autorizzate, e la parrocchia prese la denominazione attuale. Dal 1938 si attualizza il grandioso ripensamento dell’edificio su progetto di Luis Olvera. I lavori vengono finanziati in massima parte con le donazioni dei residenti, e ultimati già nel 1953 con il posizionamento della statua della Madonna (alta 4 metri) sul culmine della cupola.

L’altezza complessiva del tempio è notevole (96 m), ma originariamente era pensata con uno slancio verticale ancora maggiore. Questo non avvenne perché le autorità ecclesiastiche non acconsentirono (modestia e cautela assieme) al superamento in altezza del Monumento alla Rivoluzione.  Particolarmente felice l’eterodossa commistione di stili e influenze: Art Decò, funzionalismo, suggestioni neogotiche… il tutto realizzato attraverso l’emblema architettonico del’900: il cemento armato. Nel tempio sono profuse magnifiche vetrate, pitture e rilievi, in una riuscita reinterpretazione moderna della spazialità sacra (fatto non scontato di questi tempi ma frequente, stando alla grande panoramica che ho affrontato per preparare questo post, sul territorio messicano).

Capito allora? Quando vi capiterà di visitare Città del Messico… ricordatevi di questa chiesa… e se siete a messa concentratevi! Lo so che Leonardo di Caprio e Claire Danes si sono sposati -e suicidati- su questo altare… ma fate lo sforzo.

Qui potete vedere un video ricco di immagini degli interni. Qui la scena del matrimonio.



Lucy torna alla vita, ma non è magia
12 agosto 2011, 12:55 am
Filed under: News

Nell’universo cattolico il miracolo (con differenze e specificazioni troppo scontate per essere qui affrontate) è il fenomeno che meglio si affianca al magico/paranormale e quindi, automaticamente in questi anni, alle arti potteriane. Si è conclusa quest’estate (forse persino non definitivamente, visto il prossimo progetto firmato J. K. Rowling, Pottermore) un’epopea letteraria e cinematografica che sin dal ’97, e dunque per quindici anni, ha sincronizzato a livello mondiale l’affetto, le attese, la fantasia di una nutritissima schiera di appassionati.

Questa premessa vuole solo inquadrare qualcosa che appare molto più vivido e sconvolgente di pagine e pagine di magiche imprese: tocca Harry Potter e tocca il cinema, ma lo fa per giustificare qui, su queste pagine catto-cinefile, qualcosa che è in realtà giocato su un piano molto diverso, che non avviene insomma dietro alla macchina da presa o sui red carpet… ma dove albergano di solito le ultime speranze e il dolore: in questo caso una camera d’ospedale.

Alcuni giorni dopo la ripresa di una scena per il film Harry Potter e il principe mezzo sangue (David Yates, 2009), l’attrice tredicenne Lucy Hussey-Bergonzi ha un’emorragia cerebrale. Viene ricoverata al Great Ormond Street Hospital e le viene diagnosticata una malformazione arteriovenosa (solitamente presente sin dalla nascita essa consiste nell’anomalia di alcuni vasi sanguigni che rimangono inosservati fino al momento di massima crisi). Vengono eseguite le operazioni d’emergenza e la ragazzina sprofonda nel coma che, al quinto giorno, impone ai medici di comunicare ai genitori che ogni speranza è ormai vana. I due, davanti alla peggiore delle aspettative decidono di far battezzare Lucy. Viene convocato un sacerdote cattolico e quando il rito è in corso, non appena l’acqua le bagna il capo, la giovane ha un sussulto e alza un braccio. Entro le successive 24 ore la sua ripresa è completa e definitiva.

“Quando ho chiesto ai medici perché è ritornata da noi” racconta la madre della ragazza “non hanno saputo spiegare come sia potuto succedere, e ancora oggi non sanno come e perché abbia avuto questo recupero”. Oggi Lucy ha sedici anni e studia alla Bishop Challenor School di Londra, il suo recupero non è concluso, ma sta ricostruendo instancabilmente la sua vita.

L’inspiegabile fa sempre riflettere, un po’ verso le lacune della conoscenza del corpo umano, un po’ verso le sfacciate coincidenze che ancora una volta fanno di un rito religioso un veicolo (fortunoso o provvidenziale a seconda delle letture) di insperabili risoluzioni. La ragione deve poter vacillare, se è vera ragione. Sarebbe bello che questa notizia facesse riflettere, anche solo per un momento, i tanti fan della saga a cui Lucy volle prendere parte… magari lo stesso Daniel Radcliffe, ateo dichiarato.