LA LUCE IN SALA


WALT DISNEY E IL CRISTIANESIMO – PARTE II
17 novembre 2011, 9:43 am
Filed under: I Protagonisti, Pillole cinecattoliche

Disney anticattolico? – Disney massone? Nelle forme moderate e pacifiche che abbiamo osservato sicuramente sì, ma sarei addirittura propenso a pensare che il silenzio di molti testi (persino i più recenti) su questo aspetto della sua vita non stia come si sarebbe portati a credere in un desiderio di obliterazione (il DeMolay ha un sito anche italiano accessibilissimo, per il 100° compleanno di Disney ci sono state celebrazioni in seno all’organizzazione, alcune sedi americane sono titolate alla memoria di Walt… il quale fa inoltre mostra di sé sulla Hall of Fame virtuale dell’ordine) quanto piuttosto, sembra, a una certa irrilevanza (o sproporzione) di questo aspetto della sua vita privata. Come deduciamo dalle sue dirette parole, Walt era ricco di buoni propositi e sentimenti positivi, ma essendo allergico alla chiesa come istituzione trovò nel DeMolay un riferimento alternativo che gli consentisse, stando allo statuto ufficiale, di contemplare l’esistenza di Dio assieme a tutti quei valori conservatori che gli erano fondamentali. Naturale che vi si affezionasse e ne ricordasse a distanza di anni la missione che condivideva filosoficamente. Ma era o no Anticristiano? Stando a ciò che potremmo concludere a questo punto direi proprio di no. Allora almeno Anticattolico? Vediamo: i coniugi Disney da bravi genitori moderni non fecero mai battezzare le figlie; “Papà pensava che dovessimo avere una chiesa di nostra scelta. Non voleva che nulla nei nostri primi anni di vita ci influenzasse”, ricorda la figlia di Walt e Lillian, Diane. Senza giocare a fare gli psicologi potremmo semplicemente constatare, nella strategia educativa di Walt, il desiderio di proporre qualcosa di opposto rispetto alla rigida educazione congregazionalista ricevuta sulla propria pelle e, soprattutto, l’ulteriore riprova dell’apertura senza falsità di Walt alle scelte altrui. Le bambine tuttavia, forse per non essere completamente abbandonate nell’ignoranza della concreta possibilità di una sfera religiosa frequentarono per qualche tempo la scuola domenicale del Cristo scientista. In quarta elementare Diane frequentò invece – ma solo per un anno – una scuola cattolica: “Volevo diventare una suora”, afferma la diretta interessata, “Durante l’ora del pranzo me ne andavo in giro a pregare di fronte alle statue e via di questo passo”. Forse, come osserva l’autore di Vita di Walt Disney, libro dal quale provengono queste informazioni, “dal punto di vista del padre [quella scuola] le piacque un po’ troppo”, e fu per questo motivo che la piccola venne indirizzata al più presto altrove. In alternativa potremmo prendere per onesta (e non come ingenuamente rilassata) la lettera che Disney inviò alla sorella Ruth nel gennaio 1943: “La piccola Diane sta andando a una scuola cattolica adesso, e sembra divertirla davvero molto. È abbastanza presa dai rituali e sta studiando il catechismo. Non ha ancora deciso se vuole essere cattolica o protestante . Qualcuno è preoccupato per questo suo interessamento al cattolicesimo, ma io la penso diversamente. Penso sia abbastanza intelligente da sapere che cosa vuole fare e la sua decisione, quale che sia, è cosa che riguarda solo lei. Le ho spiegato che i cattolici sono persone come noi, e che sostanzialmente non ci sono differenze. Darle quest’ampia visione credo le formerà dentro uno spirito di tolleranza”. Tali righe di spiccata lungimiranza, rispetto al panorama culturale degli anni ’40, non furono probabilmente vacue parole: il biografo Neal Gabler interpretò quel “qualcuno è preoccupato” come un riferimento di Walt a sua moglie Lillian. L’interessamento di Diane per il cattolicesimo viene registrato da diversi biografi, e addirittura  Candace Rizzardini in un articolo dagli intenti simili a questo, dichiara di aver saputo telefonicamente da Paul Anderson, editore del magazine Disney Persistence of Vision, che Diane gli aveva confidato di essersi convertita al cattolicesimo da teen ager (secondo Paul perché i suoi amici la influenzarono, ed ella voleva sentirsi parte del gruppo). Comunque formalmente cattolica Diane non lo fu mai, dato che risulta chiaramente come nel 1954 , assieme al fidanzato Ron Miller, si facesse battezzare in una chiesa episcopaliana di Santa Barbara con Walt e Lillian come padrini, una settimana prima delle nozze nella stessa chiesa. Shannon Disney invece, sorella adottiva di Diane, si sposò con cerimonia presbiteriana nel 1959. Roy Disney, fratello e braccio destro di Walt, pur non essendo cattolico ricevette un funerale cattolico, visto che suo figlio Roy E. Disney aveva sposato Patricia Dailey… una cattolica. Pinsky (The Gospel, cit. p.19) osserva che questo matrimonio ebbe una profonda influenza su Roy senior, in particolare quando iniziarono ad arrivare i nipotini. Il  cattolicesimo ha bisogno di tempo per essere compreso dall’esterno… ed è proprio Roy che esclama: “quando vivevo a Kansas City eravamo soliti correre in giro per la città tirando sassi ai cattolici… ora ho quattro nipotini cattolici”. Non si perse mai un Battesimo, Prima Comunione o Cresima, e le sue esequie vennero celebrate proprio nella parrocchia in cui si era recato tante volte. L’impossibilità di recuperare il testo integrale di Building a company: Roy O. Disney and the creation of an entertainment empire, di Bob Thomas, rende problematico il riferimento ad alcune righe estrapolate da tale biografia: “Massone per decenni, più tardi confidò a Patricia di aver rassegnato le dimissioni dall’ordine, il quale aveva una lunga storia di anticattolicesimo. Sentiva di doverlo a sua nuora”. (Vale la pena ricordare che Roy Jr. un non cattolico con moglie cattolica, ricevette nel 1998 da Giovanni Paolo II l’investitura a Cavaliere dell’Ordine Equestre Pontificio di San Gregorio Magno, in riconoscenza del suo supporto alla costruzione di una nuova cattedrale a Los Angeles).  A differenza di Roy non sembra che Walt dal DeMolay fosse passato alla massoneria vera e propria, e fu anzi (in conferma di quanto dicevamo sopra) concretamente aperto alle espressioni cristiane che venivano sviluppandosi in seno al suo impero: lo vediamo nei suoi cortometraggi e poi nei suoi film sia animati che in live action, e nella meravigliosa Candle Light Procession (sin dal ’55 a Disneyland, in una notte precedente il Natale, si teneva una processione con candele a cui prendevano parte tutti i cori di tutte le parrocchie -di ogni confessione- e di tutte le scuole corali della zona, le quali intonavano bellissimi canti natalizi religiosi. Questa tradizione d’altri tempi perdura ancora oggi, sebbene con modalità differenti, anche al Disney World di Orlando; da sottolineare che prima del concerto un noto personaggio di spettacolo invitato per l’occasione legge i brani evangelici inerenti la natività di Cristo). (Dal minuto 02.00).

È poi di sicuro interesse, sebbene non significhi niente di più che una serena apertura, ricordare che Walt, nel suo viaggio in Italia del 1935, ebbe un’udienza privata nientemeno che col Santo Padre Pio XI (incontrò anche Mussolini, certo).

Un fotogramma dal film Fantasia

Il finale di Fantasia (1940), intriso di una romantica mistica cristiana traduce visivamente l’ Ave Maria di Schubert (nel film il testo originale latino è stato tradotto in inglese) e dal testo di John Culhane dedicato a questa fatica cinematografica (Walt Disney’s Fantasia), apprendiamo che Walt aveva previsto che negli ultimi fotogrammi del lungometraggio, quando l’inquadratura si innalza verso il cielo, comparisse un’immagine della Vergine Maria fra le nuvole. Alla fine Walt vi rinunciò perché una scelta così forte sarebbe stata troppo controversa. Nel film c’è anche un lungo capitolo dedicato all’Olimpo greco, trattato però in modi buffi e leziosi: sigillare tutta l’opera dopo due capitoli molto seriosi e di tono piuttosto elevato con un’immagine eminentemente cattolica, per di più dopo una parentesi di sapore quasi liturgico (prima nella processione di globi di luce erano previsti veri e propri candelabri) avrebbe sicuramente comportato polemiche a non finire (che non mancarono neppure dopo tali ridimensionamenti). Walt mantenne per moltissimi anni un senso di amorosa nostalgia per la figura materna (avete presente Bambi, Dumbo e Biancaneve?) e quindi nulla di strano che proprio per la Madre di Dio provasse almeno quella rispettosa curiosità che lo spinse, ad esempio, ad acquistare una statua della Vergine in argento da uno dei suoi disegnatori (lo riporta Candace Rizzardini da Neal Gabler, Walt Disney: The Triumph of the American Imagination). “Credo che tutte le concezioni siano immacolate, proprio perché c’è di mezzo un bambino”, rispose Walt all’infermiera del suo studio, Hazel George, quando questa gli chiese se credesse a tale dogma. Una risposta interessante, che ci consente di chiarire come a vincere sempre fosse un suo personale senso del divino, lontano dai teologismi più complessi.  Fino ad ora abbiamo raccolto molti elementi per cercare di capire l’atteggiamento di Disney verso il cristianesimo e la Chiesa Cattolica, molti, ma tutti indiziari. A Burbank in California c’è però un segno inequivocabile di ciò che Disney pensava della Chiesa Cattolica: Il Providence Saint Joseph Medical Center, fondato nel 1943 dalle Sorelle della Provvidenza, è attualmente l’ospedale più grande della San Fernando Valley, noto per la qualità dei servizi, le tecnologie impiegate e il senso umano con cui si accompagnano le cure. La struttura si eleva esattamente di fronte al quartier generale della Walt Disney Company e, se noto è il fatto che nelle sue stanze esalarono l’ultimo respiro sia Walt che Roy Disney, è invece ignorato sorprendentemente da tante biografie il fatto che Walt sin dai primi momenti di vita del progetto vi dedicò il suo entusiastico e pubblico contributo. Non ci è giustamente dato di conoscere, vista la natura caritativa del gesto, il peso di questo contributo, ma la foto in cui una processione cattolica lo incornicia nel momento in cui smosse la prima zolla del terreno destinato alla struttura, o quella dove “Topolino in persona” consegna un assegno alla priora delle Sorelle della Misericordia, Suor Zephirin, consentono di intuire una certa concretezza, un certo slancio. Disney dispose inoltre che i suoi artisti si applicassero nella realizzazione di murales e decorazioni varie per rallegrare gli interni (molti sono visibili, assieme ad altre foto, qui). Oggi la piazza antistante l’ospedale è titolata alla sua memoria, e la famiglia Disney e la Walt Disney Company non hanno mai smesso di prestare aiuto alla struttura (Roy Jr. e Patricia Disney hanno devoluto 10.000.000 $ per la costruzione del moderno Roy and Patricia Disney Family Cancer Center). Walt si spense il 15 dicembre 1966 in un letto del Saint Joseph Medical Center dove era stato ricoverato per un tumore al polmone sinistro. Roy ne ha ricordato gli ultimi momenti: sdraiato a letto immaginava nel reticolo dei pannelli fonoassorbenti del soffitto la piantina della sua ultima sfida, l’immenso Disney World. Alcuni anni prima, già compromesso nella salute, aveva detto all’infermiera Hazel: “ Su una cosa lei ha ragione: fumo e alcol sono peccati. Siamo tutti creature di Dio, e trascurando il corpo che Lui ci ha dato commettiamo peccato”. Disney non fu mai l’uomo perfetto che il culto di un sogno alla porporina ha scolpito con finalità anche commerciali: fu un appassionato fumatore e bevitore, sboccato, esuberante, perdeva clamorosamente le staffe, e oltre a ciò forse altro che solo lui e qualcuno più in alto conoscono veramente… ma non fu nemmeno il mostro che vari ricettatori di scoop vorrebbero poter ricostruire credibilmente. Fu un uomo di spiccato intuito, spregiudicatezza, inventiva, genio… un uomo che ha accompagnato molti di noi nel delicato momento dell’infanzia: lo Zio Walt che possiamo ricordare come un ingranaggio (accessorio eppur determinanate) della nostra felice esperienza del mondo, prima ancora che come un protagonista della storia e della cinematografia del ‘900.



WALT DISNEY E IL CRISTIANESIMO parte I
13 novembre 2011, 8:31 PM
Filed under: I Protagonisti, Pillole cinecattoliche

Personaggio più unico che raro Walt Elias Disney (1901-1966) ha incarnato storicamente (e grandiosamente) due pilastri dell’immaginario esistenziale a stelle e strisce: il sogno americano e il self-made man. Come molti protagonisti del Novecento (peggio se icone pop), Walt ha assunto a seconda di chi si trovava a darne un giudizio l’aura angelica o demoniaca propria di un volto astratto, di un’etichetta scollegata dalla realtà e dal senso umano. Lo spettro per constatare la rilevanza del nome di Disney e l’aggressività con cui se ne è mantenuta l’eco concitata è, come sempre, la selva di leggende metropolitane fiorite sul suo conto (di comprovata falsità, se ci fosse il bisogno di specificarlo): Walt era un adoratore del demonio; era figlio illegittimo; venne congedato con disonore dall’esercito; nel corso della sua esistenza costituì una mastodontica collezione di materiale pornografico; fu nazista e comunista; razzista e antisemita; misogino e sessualmente disturbato; venne ibernato criogenicamente poco prima della morte (il suo corpo sarebbe custodito sotto l’attrazione Pirates of Caribbean a Disneyland: si attende la cerimonia di sbrinamento per il 2055). Accanto alle chiacchiere fantasiose e ricche solo di pettegola malevolenza vi sono accuse meno aleatorie che meritano la giusta attenzione, ma in ogni caso troppo spesso si tende a dimenticare che dietro all’elegante firma marchio impressa su una delle case cinematografiche più grandi e potenti del mondo, infiniti successi cinematografici commerciali e artistici, merchandise di incalcolabili forge, 14 parchi tematici, una linea di crociere, un’università (la lista potrebbe continuare)… c’è soltanto un uomo, grande certamente, ma fatto di meriti e colpe, pregi e difetti, virtù e debolezze proprio come chiunque altro. Inoltre, sebbene la mastodontica Walt Disney Company sia tuttora legata a filo doppio al nome, alle scelte, all’impronta e alle fondamenta gettate dal suo fondatore… la confusione che si viene a creare fra le due entità è un grossolano errore.
Rinunciamo a una profilatura di ampio respiro (che potrete trovare agilmente altrove) per concentrarci su alcuni aspetti più specifici per il nostro discorso.
Disney massone e anticristiano? –  Vi propongo con traduzione corsiva, come di consueto, un testo fondamentale per penetrare la concezione religiosa di Disney. Deeds rather than words, questo il titolo originario, venne scritto nel 1963 in prima persona da Walt, in ottemperanza alla richiesta dello scrittore Roland Gammon, il quale desiderava raccogliere le testimonianze sulla fede dei volti più noti d’America per racchiuderle in un’antologia titolata Faith is a Star.

Fatti, piuttosto che parole

In questi giorni di tensioni mondiali, nei quali la fede dell’uomo viene messa alla prova come mai prima, sono personalmente grato ai miei genitori per avermi insegnato in tenera età ad avere una forte convinzione personale e fiducia nel potere della preghiera per Divina ispirazione. I miei erano membri della Chiesa Congregazionale della nostra città natale, Marceline in Missouri. È stato lì che mi hanno insegnato per la prima volta l’importanza della religione… come essa ci sia di smisurato aiuto per affrontare le prove e gli affanni della vita e ci mantenga in sintonia con l’ispirazione Divina. Più tardi nel DeMolay ho imparato a credere nel principio di base che ogni uomo possiede il diritto di esercitare la propria fede e i propri ideali come crede. Nel DeMolay crediamo in un un essere supremo, nella comunione umana e nella santità della casa. DeMolay è sinonimo di tutto ciò che è bene per la famiglia e per il nostro paese.

Ogni persona ha una propria concezione dell’atto di preghiera per l’assistenza di Dio, la sua tolleranza, la sua misericordia, per adempiere ai propri compiti e responsabilità. Il mio concetto di preghiera non è quello di una supplica per ottenere speciali favori o un veloce palliativo contro i torti consapevolmente commessi. Una preghiera, mi sembra, implica una promessa tanto quanto una richiesta; al più alto livello la preghiera non è solo una supplica per ottenere forza e consiglio, ma un’affermazione di vita e dunque riverente lode a Dio.

Fatti, piuttosto che parole, esprime il mio concetto sulla parte di religione che dovrebbe agire nella vita di ogni giorno. Ho osservato costantemente che nei nostri film i più alti standard morali e spirituali sono sostenuti, sia che si tratti di favole che di storie in live action. Questa religiosa preoccupazione per la forma e il contenuto dei nostri film risale a 40 anni fa e al finanziariamente difficile periodo presso Kansas City, quando lottavo per affermare un compagnia cinematografica e produrre favole animate. Molte volte in quegli anni difficili, proprio mentre sviluppavamo Alice in Cartoonland e più tardi ad Hollywood col primo Topolino, eravamo sotto pressione per svendere o svilire il nostro soggetto, o renderlo lucrabile in un modo o nell’altro. Noi abbiamo tenuto duro, mio fratello Roy e gli altri fedeli associati, fino a quando il successo di Topolino e delle Silly Symphonies, alla fine, ci ha dato ragione. Allo stesso modo quando la guerra è arrivata negli Stati Uniti, nel 1941, abbiamo cambiato la redditizia produzione di film popolari in produzioni militari per lo Zio Sam. Il 94% delle strutture hollywoodiane Disney venne impegnato in speciali lavori governativi mentre la restante parte rimaneva fedele alla produzione di commedie costruttive morali e cortometraggi.

Sia la conoscenza delle Scritture che la carriera nell’intrattenimento dei bambini mi hanno insegnato ad averne cura. Ma non intendo sminuirli, nella vita come nel cinema. Io non ho mai trattato i miei ragazzi come fragili fiori, e penso che nessun genitore dovrebbe.

I bambini sono persone, e dovrebbero avere la possibilità di conoscere le cose, capire le cose, proprio come gli adulti devono arrivarci per poter crescere in statura mentale. La vita è composta di luci e ombre, e saremmo bugiardi, ipocriti e melensi se cercassimo di far finta che non esistano ombre. La maggior parte delle cose sono buone, e sono le cose più forti, ma esistono anche cose cattive, e non state facendo un favore a un bambino cercando di proteggerlo dalla realtà. La cosa importante è insegnare a un bambino che il bene può sempre trionfare sul male, e questo è quello che cerchiamo di fare con i nostri film.

Il bambino americano è un essere umano molto intelligente, caratteristicamente sensibile, divertente, di mentalità aperta, desideroso di imparare, e ha un forte senso dell’entusiasmo, energia ed una sana curiosità del mondo in cui vive. Fortunato è infatti l’adulto capace di mantenere queste medesime caratteristiche nella vita matura. Solitamente concorrono a farne un uomo felice e di successo. Nei nostri cortometraggi animati, come nelle produzioni live action, abbiamo cercato di trasmettere nei racconti e nelle canzoni quei valori che rendono bambini e adulti attraenti. Ho sempre pensato che il modo per tenere i bambini lontano dai guai fosse quello di mantenerli interessati alle cose. Le conferenze non sono una soluzione alla delinquenza. Le prediche non mancheranno di tenere i giovani fuori dai guai, ma le loro menti occupate.

Perciò, qualunque successo io abbia conseguito nel condurre un intrattenimento pulito e informativo alle persone di ogni età, lo attribuisco in gran parte alla mia educazione congregazionalista e alla familiarità per tutta la mia vita con la preghiera. Per me oggi, all’età di 61 anni, ogni preghiera, quella degli umili o dei più altolocati, ha una cosa in comune: la richiesta di forza e ispirazione per portare avanti i migliori impulsi umani, i quali dovrebbero legarci assieme per un mondo migliore. Senza tale ispirazione ci deterioreremmo rapidamente e, infine, moriremmo. Ma ai nostri tempi tormentati il diritto dell’uomo di pensare e adorare ciò che gli detta la coscienza viene messo a dura prova. Possiamo mantenere questi privilegi solo rimanendo costantemente in guardia e combattendo contro qualsiasi usurpazione di questi precetti. Il ritiro di uno qualsiasi dei principi tramandatici dai nostri avi, i quali versarono il sangue per gli ideali che ancora abbracciamo, sarebbe una completa vittoria di quanti vorrebbero distruggere la libertà e la giustizia individuali.

Walt Disney, il secondo da dx, assieme ad altre personalità del DeMolay (anni '30)


Con questa chiusura graniticamente conservatrice termina la più limpida espressione dello spirito  laico e fermamente teista di Disney. Infatti uno degli aspetti biografici decisivi per la nostra indagine è l’affiliazione di Walt al DeMolay, citato subito nel primo paragrafo. Ma che cos’è più precisamente il DeMolay? Si tratta sostanzialmente di un’ anticamera massonica riservata ai giovani dai 12 ai 21 anni, fondata nel 1919 a Kansas City. Come è noto la massoneria è la campionessa della moderna battaglia anticattolica. L’impeccabile Introvigne ha avuto modo di parlarne proprio in occasione di una riflessione sul padre di Topolino: “Se la simbologia [nel DeMolay] è patriottica e vagamente cavalleresca, profondamente massonico è il riferimento ai templari e al loro Gran Maestro Jacques de Molay (ca. 1240-1250-1314). Molti storici pensano che de Molay fosse in realtà un buon cattolico, ingiustamente calunniato e mandato a morire sul rogo dal re di Francia Filippo il Bello (1268-1314), che – forse bello, ma certamente squattrinato – voleva impadronirsi delle favolose ricchezze dei templari. Ma nella simbologia massonica settecentesca e ottocentesca de Molay diventa – in modo piuttosto anacronistico – un campione del libero pensiero, vittima dell’alleanza della monarchia di Francia e della Chiesa Cattolica, e i massoni s’impegnano a vendicarlo combattendo i troni e gli altari. Questi riferimenti mostrano come l’organizzazione giovanile della massoneria – che conta ancora oggi diciottomila membri, in cui si è formato per esempio Bill Clinton, e che ha una sua piccola filiale anche in Italia – non sia completamente innocua. È nota l’appartenenza massonica di Walt Disney. Meno noti sono l’entusiasmo con cui egli accompagnò le prime attività dell’Ordine DeMolay, e la sua amicizia con il fondatore di questa massoneria per ragazzi, l’imprenditore Frank Sherman Lang (1890-1959). Fino a quando compì quarant’anni, benché fosse ormai fuori età, Disney continuò a portare con orgoglio al dito l’anello dell’Ordine DeMolay”. Se Disney non ebbe una netta simpatia per il cristianesimo codificato, le sue parole trasmettono un’ammirevole esempio di tolleranza e apertura, e del resto occorre rimarcare quanto fosse stata energica la sua formazione religiosa: Walt, sebbene non praticante nell’età adulta, nacque in una famiglia di devoti congregazionalisti (o “Indipendenti”; i congregazionalisti sono organizzati in cellule autonome sottomesse alla “diretta guida di Cristo”, si identificano storicamente con i famosi “Padri Pellegrini” giunti in Nordamerica con la Mayflower e la loro teologia è di matrice calvinista. Oggi sono circa 4.000.000). Il padre di Walt, Elias Disney, era molto religioso, un uomo onesto e ricordato dai figli con affetto sebbene talvolta violento e sprezzante (cosa che ha fatto fiorire molte letture psicanalitiche della  fantasiosità e della vitalità disneyana).
Elias, un piccolo e fallimentare imprenditore edile, costruì la chiesa congregazionale di St. Paul nel quartiere dove risiedeva con la famiglia nei primissimi del 900, a Chicago. “Lì eravamo di casa” racconta il fratello-socio di Walt, Roy, “Papà di solito sostituiva il prete quando questi non c’era. Tutti noi da bambini andavamo lì per la scuola e chiesa domenicale”. Elias era uno degli attori principali della parrocchia insomma, e sua moglie aveva inoltre il ruolo di tesoriera. Walt venne battezzato col nome di suo padre e col nome del ministro inglese Walter Robinson Parr, in carica presso la parrocchia di St. Paul dal 1900 al 1905. Qualche anno più tardi però, dal 1911, la famiglia si era trasferita a Marceline, nel Kansas (dove non c’erano parrocchie congregazionaliste) e con l’aggravarsi delle condizioni economiche della famiglia che richiedevano l’impiego dei fratelli Disney nella consegna del giornale locale, ci fu un progressivo accantonamento della religione; ricorda ancora Roy: “Il carico era pesante. E la domenica, una giornata di grande lavoro. […] Perdemmo l’abitudine della chiesa per questo motivo. Capisci bene che è una di quelle cose che proprio non ti permettono di andare a messa”. Anche Walt ricorderà come “in seguito, a un certo punto, smettemmo di pregare” (Michael Barrier, Vita di Walt Disney, pp. 36, 43).
Disney entrò a far parte del DeMolay da diciannovenne, nel 1920, come centosettesimo membro del Mother Chapter of DeMolay, di Kansas City.
“Walt si considerava religioso nonostante non andasse mai in chiesa. La massiccia dose di religiosità nell’infanzia deve averlo scoraggiato. Gli davano particolarmente fastidio i predicatori bigotti. Ammirava e rispettava tuttavia ogni religione e la sua fede in Dio non ha mai vacillato”, scrive Bob Thomas in Walt Disney, An American Original. “La maggior parte degli storici concorda che l’autorità e la natura talvolta crudele di Elias – e la sua propensione a frustare e picchiare i figli – abbiano giocato un ruolo nella rivolta di Walt e Roy contro la chiesa. La bivalente relazione dei due fratelli con le religioni organizzate è ben documentata, come la loro forte, personale, fede in Dio” (Mark I. Pinsky, The Gospel According to Disney : Faith, Trust, and Pixie Dust).  Insomma, per quanto Walt non volesse recuperare formalmente una visione confessionale della fede essa, almeno ufficiosamente, doveva averlo segnato nel bene e nel male molto profondamente (alcuni interpreti dei suoi lavori ritengono addirittura che l’assenza di figure figliali nei primi cortometraggi con Topolino, Minnie, Paperino e Paperina eternamente fidanzati e circondati solo da centinaia di orfani o dai nipotini Qui, Quo, Qua, sia frutto di un retaggio sessuofobico puritano). Sentiamo ancora Introvigne: “Sbaglierebbe chi […] dalla dichiarata passione di Disney per la massoneria volesse ricavare un giudizio su tutta la produzione disneyana come ispirata ai valori massonici. Da una parte, Disney si è limitato alla supervisione di prodotti confezionati da numerosi artisti, di diversissime sensibilità. Molti dei principali disegnatori e sceneggiatori disneyani non solo non erano massoni ma s’ispiravano a valori piuttosto conservatori e anche esplicitamente cristiani. Dall’altra, nella California dell’epoca in cui Disney diventa massone, negli anni ’20, i membri delle logge sfioravano i centomila. Questo significa che essere massoni – al di fuori dei cattolici, ben consapevoli della condanna della Chiesa – in California non era riservato a un’élite: era del tutto comune per i borghesi, e anche per i piccoli borghesi di successo. Una forma – lo hanno notato storici delle idee come Margaret Jacobs – di “sociabilità diffusa”, pur sempre massonica come dimostrano i simboli scelti ma lontana dalla forte caratterizzazione ideologica delle logge italiane o francesi dell’epoca. […] Topolino, dunque, non è massone, e l’affiliazione massonica del suo creatore non è penetrata nelle storie, specie quelle delle origini, scritte da non massoni e ricche di valori morali, oltre che di delicatezza e di poesia”. La stessa figlia di Walt, Diane, sottolinea: “[Visti i suoi trascorsi con la chiesa] posso capire il suo atteggiamento libero verso la nostra religione. Ha voluto che noi [le sue figlie] fossimo religiose. Credeva categoricamente in Dio, davvero categoricamente, ma credo che ne avesse avuto abbastanza da bambino [delle religioni organizzate]” da Pat Williams, How to be like Walt.
Affermazioni illuminanti di Walt come: “Dico a me stesso ‘Vivi una buona vita cristiana’. Verso tale obiettivo piego ogni sforzo nel plasmare la mia attività e la mia crescita personale, domestica, professionale”, sono indicative del suo reale atteggiamento di condivisione religiosa;  indizi che permettono di cogliere una lontananza dai campanili misurata e certamente non livorosa. Del resto alla grande inaugurazione di Disneyland, il 17 luglio 1955, non mancò un solenne momento di preghiera collettiva di suggestivo completo silenzio. Disney invitò a condurre la preghiera il Reverendo presbiteriano Glen D. Puder, suo nipote acquisito. Da notare la presenza (certo anche per motivi istituzionali), di tre cappellani militari rappresentanti le tre maggiori religioni d’America: cattolicesimo, protestantesimo ed ebraismo. Dopo la lettura da parte di Walt della dedicazione del parco ai suoi visitatori (con voce rotta dall’emozione), in un momento di silenzio il commentatore della diretta tv osserva: “I cappellani militari rappresentano i vari credi presenti, ma tutti sono accettati…”  venendo interrotto dalle parole di Puder, nel frattempo avvicinatosi al microfono per la preghiera: “Ho conosciuto Disney per molti anni, e sono stato a lungo consapevole della  motivazione spirituale nel cuore dell’uomo che aveva sognato l’esistenza di Disneyland. Uniamoci a lui allora nella dedicazione di questi acri straboccanti di meraviglia, a quelle cose care al suo e al nostro cuore. Alla comprensione e alla buona volontà fra gli uomini, risate per i bambini, ricordi per gli adulti e ispirazione per i giovani di qualunque luogo. E aldilà dei credi che ci separerebbero, uniamoci in una preghiera silenziosa, che questo e tutti i meritevoli sforzi siano prosperi alla mano di Dio. Chiniamoci in preghiera.”  – CONTINUA



LA VERA CONVERSIONE DI GARY COOPER
28 luglio 2011, 12:46 am
Filed under: I Protagonisti

Vi  propongo la traduzione (un po’ a braccio e con lievi modifiche) di un recente contributo che si sofferma sul percorso umano e spirituale di una vera leggenda del grande schermo. La conversione di Gary Cooper non è una novità, ma poiché viene spesso sottaciuta o sminuita, risulta di particolare interesse un resoconto più sostanzioso. Buona lettura!

Gary Cooper da giovane

Gary Cooper, icona hollywoodiana il cui cinquantesimo della morte è trascorso quest’anno a maggio, si convertì ufficialmente al cattolicesimo nel 1958 ricevendo il sacramento del battesimo, egli aveva iniziato un percorso di avvicinamento alla fede sin dal ’50, ben otto anni prima. Al contrario di quanto viene frequentemente riportato la sua conversione non fu sollecitata dall’incombere della malattia sulla sua vita. “Assolutamente no”, ha detto sua figlia Maria Janis Cooper, “ci arrivò da solo, a suo tempo… pezzi e pezzi della sua stessa vita che ha voluto mettere assieme in un nuovo modo”.
“Aveva una spiritualità molto vera, che non era un ‘ismo’ [un’espressione teorica o dottrinaria – ndr]… con la quale, penso, nacque e crebbe, vivendo all’aperto nel West, avendo una fortissima affinità con la cultura e la spiritualità degli Indiani d’America”.

Nacque il 7 maggio 1901 ad Helena nel Montana, ma mentre il vecchio West svaniva lui diventava incidentalmente una stella, arrivando ad Hollywood per trovare lavoro come grafico pubblicitario ed essere più vicino ai suoi genitori.
Dopo qualche impiego come stunt, il bello, sobrio Cooper, venne “scoperto” e nel 1925 iniziava a recitare in alcuni ruoli non accreditati. La sua carriera cinematografica, durata ben 36 anni, è decollata col film Ali (William A. Wellman, 1927), vincitore dell’Oscar come miglior film. La sua apparizione in questo lungometraggio fu molto breve (solo due minuti e mezzo) ma, come ne disse il leggendario produttore della Paramount PicturesAndrew Craddock Lyles: “Quando è arrivato sullo schermo, questo si è subito illuminato con lui”.

Locandina de "Il sergente York"

Con soli 200 piedi di pellicola i magnati hollywooodiani sapevano di star guardando ad una stella. Cooper da solo risollevò infatti le fortune della Paramount afflosciate dalla Depressione, interpretando perfettamente l’eroe “everyman” e cogliendo in pieno lo spirito dell’epoca; ad esempio nei panni di Longfellow Deeds in È arrivata la felicità (Frank Capra, 1936), Long John Willoughby in Arriva John Doe (FranK Capra, 1941), Alvin York in Il sergente York (Howard Hawks, 1941), quest’ultimo ruolo, così pregno di spiritualità cristiana, fu il preferito di Cooper, e gli regalò la vittoria del suo primo Oscar. Gary ha incarnato l’essenza del carattere americano, in particolare quella combinazione unica di ruvido individualismo e magnanimo altruismo, nel suo caso nutrito dal west e dalla provenienza dei suoi genitori: inglesi immigrati che gli inculcarono le leleganti maniere di un vero gentleman.
“Con Gary c’erano sempre meravigliose nascoste profondità che non avevi ancora notato”, disse Jean Arthur, sua co-star nel film Arriva John Doe. Il Genere con cui Gary Cooper viene maggiormente identificato è il Western, avendo egli recitato ne L’uomo della

Virginia (Victor Fleming, 1929), il film che ha gettato lo standard per tutto il filone cinematografico. Disse in un’intervista del 1959: “Mi piacciono i western perché sono gli unici ad essere reali… storie di pionieri che hanno sfidato gli elementi e… attraverso le immagini dei western, noi realizziamo che il nostro paese era ed è pieno di persone che credono nell’America”. Mezzogiorno di fuoco (Fred Zinnemann, 1952), un western impeccabile, è considerato il suo più grande film (per il quale vinse infatti il secondo Oscar della sua carriera interpretando un personaggio  coinvolto nella lotta morale per la vittoria del bene contro il male).
Maria ha detto ancora di suo padre: “Mentre rappresentava il duro individualismo del singolo uomo contrapposto al mondo, nulla che sapesse lontanamente di egoistico o di esclusivismo personale lo riguardava”. La natura schiva di Cooper ha permeato la sua vita. Nel marzo 1961, morendo di cancro, volò a New York per registrare la narrazione fuori campo per The Real West.Il produttore TV Donald Hyatt ha ricordato la “sua semplicità e la mancanza di pretese ‘da big star’. Per esempio, una volta che non c’era posto sull’attaccapanni per il suo cappotto, Cooper ha detto ‘non spostare un altro cappotto: basta buttare il mio dove capita”. Ma, come tutti gli eroi, era mortale dopo tutto, e aveva una debolezza fatale: avendo un forte ascendente sulle partner femminili del grande schermo, Cooper inanellò una serie di più o meno brevi affair (Clara Bow, Marlene Dietrich, Tallulah Bankhead, Lupe Velez, Carole Lombard, Ingrid Bergman, Grace Kelly…). La relazione con Patricia Neal fu diversa: Cooper era sposato, e nonostante ciò, questa situazione (che Maria definisce “complicata”), durò oltre la fine delle riprese del film La fonte meravigliosa (King Vidor, 1949). Nacque nell’ottobre 1948 e continuò fino al Natale del 1951, quando Copper, realizzato che fra loro era tutto finito, regalò a Patricia una pelliccia lasciando gli Usa per l’Europa.

Gary e Rocky

Cercò conforto e guarigione in Inghilterra già nel 1931 (aveva vissuto due anni in quella terra da bambino, 20 anni prima), a seguito di un esaurimento nervoso provocatogli dalle pressioni dello star system. Dopo un anno fra l’alta società e un totale ringiovanimento, arrivò un decisivo punto di svolta nella sua vita, personificato dall’ adorabile e mondana Veronica “Rocky” Balfe, nipote del famoso direttore artistico della MGM Cedric Gibbons. Si sposarono un anno più tardi, il 15 dicembre 1933.
Veronica era una cattolica dai modi raffinati (che alcuni detrattori ebbero a criticare come snobisti), e portò grande stabilità e amore genuino nella vita di Cooper.
Tuttavia, come accennavamo, l’attore era un eroe americano che, come ricordava un osservatore ravvicinato, Ted Nungent, un elettricista degli studios Paramount: “Se è nato per la cinepresa, è nato anche per fare l’amore… Voleva soddisfare le donne, si divertiva a guardarle, ascoltarle, compiacerle… un tipo del genere non cambia!”. Non senza Grazia, s’intende.

Dopo la separazione dalla sua famiglia nel maggio 1951, sulla scia della relazione con Patricia Neal, Cooper realizzò la vacuità della sua vita. Il suo personaggio Will Kane in Mezzogiorno di fuoco, riflette perfettamente il conflitto morale che lo gravava in quei giorni.

Gary Cooper incontra Pio XII

Il 26 giugno 1953 nel corso del tour promozionale per Mezzogiorno di Fuoco, raggiunto dalla famiglia, si reca in visita al Vaticano e incontra Papa Pio XII: un incontro che lo impressionerà profondamente.
Tutti ad Hollywood avevano supplicato un ricordino. All’udienza papale, ricorda Maria, suo padre aveva dei rosari sul braccio e vi teneva aggrappati molti altri souvenir. Siccome soffriva di mal di schiena aveva delle difficoltà a inginocchiarsi e, quando lo fece, gli cadde tutto quanto a terra -i rosari, le medaglie e i santini…- Mentre il poveretto stava rimescolando a quattro zampe improvvisamente, ricorda scherzosamente sua figlia, incappò in questa scarpa scarlatta e nel lembo di un mantello!

Gary, Rocky e la piccola Maria

Ai primi del 1954, dopo aver recitato in Samoa (Mark Robson, 1953) dove, per coincidenza, interpretava un padre che ritornava dalla figlia ormai sedicenne dopo averla abbandonata, Cooper tornò dalla sua famiglia e da sua figlia, ormai sedicenne.
Dopo essersi risistemato all’interno della vita matrimoniale se ne  allontanò ancora, ora inseguendo donne meno raffinate rispetto alle sue precedenti conquiste.
Rendendosi conto dello stress che il suo “vagabondaggio” scaricava sulla famiglia, l’attore cominciò ad andare in chiesa con Rocky e Maria all’infuori della routine pasquale e natalizia. Anche se non ne ha mai parlato, secondo Maria suo padre si rivolse alla religione perché “probabilmente stava cercando più stabilità di quella che aveva personalmente trovato”.
“Accadde molto naturalmente. Domenica dopo la messa, noi scherzavamo sull’erudito e divertente Padre Harold Ford. Cooper era incuriosito e disse ‘Oh, mi piacerebbe sentirlo un giorno!'” spingendo Rocky a rispondergli “Bene, vieni con noi.”
I sermoni di Padre Ford, riporta sempre Maria, lo fecero pensare.
Contrariamente a quanto alcuni dicono Rocky non macchinò la conversione di Gary. “Non era possibile martellargli qualcosa in testa” prosegue la figlia “perché credetemi, nessuno faceva fare a mio padre quello che non voleva fare”.
Presto Rocky invitò Padre Ford a casa loro pensando che i due potessero condividere alcune riflessioni spirituali. Invece condivisero il loro comune interesse per pistole, caccia, pesca e immersioni subacquee!
Tuttavia occasionalmente le loro conversazioni iniziavano a deviare verso la religione, e conseguentemente Padre Ford e Cooper si trattenevano assieme per discussioni più lunghe, ad esempio con tragitti fino a Malibu.
Cooper venne formalmente ammesso nella Chiesa Cattolica il 9 aprile 1959.
Shirley Burden, intimo amico di famiglia (anch’egli convertito) fu suo padrino di battesimo. Dopo quell’anno Gary spiegava la sua conversione dicendo: “Ho speso tutte le mie ore di veglia, anno dopo anno, facendo quasi esattamente quello che, personalmente, volevo fare; e quello che volevo fare non era sempre fra le cose più corrette. Lo scorso inverno ho iniziato a soffermarmi un po’ di più su quanto stava nella mia testa da lungo tempo [e ho pensato] ‘Coop, vecchio ragazzo, tu devi qualcosa a qualcuno per tutta questa buona sorte! Non sarò mai niente di simile a un santo… La sola cosa che posso dire per me, è che sto provando ad essere un po’ migliore. Forse ce la farò”.
Nell’aprile 1961 un visibilmente commosso Jimmy Stewart si presentò all’Academy Awards per ritirare l’Oscar onorario assegnato a Gary Cooper, motivando quella delega con delle allusioni al fatto che il suo amico era seriamente ammalato. Il giorno seguente le prime pagine dei giornali di tutto il mondo strillavano: “Gary Cooper ha il cancro”.
Visitatori iniziarono ad arrivare, e messaggi piovevano da amici e ammiratori da tutto il mondo, compresi Papa Giovanni XXIII, la Regina Elisabetta, John Wayne, Ernst Hemingway, l’ex Presidente Dwight Eisenhower, Bob Hope, Audrey Hepburn… Perfino il Presidente in carica John F. Kennedy chiamò da Washington.
Gli amici che si aspettavano di trovare un’atmosfera deprimente in casa Cooper, trovarono invece luminosità solare, fiori freschi e musica allegra, dato che la famiglia affrontava quel momento profondamente difficile con la fede. Billy Wilder ricorda che l’ammalato vestiva con un pigiama alla moda e vestaglia, apparendo più imperturbabile dei suoi ospiti.
Come Rocky disse a Hedda Hopper “Ciò che lo ha aiutato di più è stata la sua religione. Man mano che la malattia progrediva non ha mai chiesto ‘Perché a me?’, non si è mai lamentato, è stato spiritualmente arricchito dai sacramenti e da libri come Peace and Soul, del Vescovo Fulton Sheen.

“Io so”, annunciava Cooper mentre stava morendo, “che quello che sta succedendo è la volontà di Dio. Non ho paura del futuro”.

Morì di cancro alla prostata e al colon il 13 maggio 1961; è amato per l’ indelebile ritratto dell’autentico eroe americano che ci ha regalato, un ritratto che sarebbe incompleto senza la memoria del suo ultimo eroico giorno. (Testo originale)



MARTIN SHEEN E LA FEDE
15 aprile 2011, 2:20 PM
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Martin Sheen è un attore che si incontra frequentemene nei panni di personaggi cattolici. Ne abbiamo parlato anche qui a proposito del film “The Way” (Estevez, 2010). L’attore si è prestato recentemente ad un’intervista sulla rete Rté, nel programma “The Meaning Of Life with Gay Byrne”, nella quale ha avuto modo di raccontare i suoi problemi famigliari, il suo ritorno alla fede e il suo incontro con Madre Teresa. L’intera intervista ha la considerevole durata di 39 minuti ed è interamente a disposizione degli anglofoni sul sito della rete. In tutta la chiacchierata Sheen ha parlato candidamente anche di questioni legate alla preghiera o alla dottrina della Chiesa. Quando gli viene chieste della sua vita di preghiera l’attore risponde: “La maggior parte delle mie preghiere è… ringraziamento. Sostienimi Signore, come hai promesso, e io vivrò, e non sarò deluso nella mia speranza. Questa è la mia preghiera. Ecco qui. E’ un dialogo. Dio vuole essere una parte delle nostre vite quotidiane, della nostra umanità, i nostri dubbi, le nostre paure, rabbie, i nostri risentimenti, le nostre delusioni, le nostre fratture. In ogni modo in cui possa entrarci”.

Byrne poco dopo gli chiede: “Credi alla presenza reale?” (in riferimento alla transustanziazione). E Sheen risponde “Si, eccome. Lascerei perdere se non fosse così!”. (fonte)



DOLORES HART: DA STAR DEL CINEMA A PRIORA
31 gennaio 2011, 8:37 am
Filed under: I Protagonisti

Qualche giorno fa su La Bussola quotidiana è uscito un articolo di Alessandra Nucci veramente interessante. Cosa c’è sotto a una vocazione religiosa? Sicuramente un principio di insoddisfazione della propria vita (magari dovuto all’essere soli o frustrati dal lavoro), l’ incapacità di essere amati e dunque di sconfiggere un’insopportabile solitudine, non ultimo uno scompenso mentale ed emotivo. Chi crede che “sotto”, (ma anche sopra e attraverso) ci sia solo lo Spirito Santo, forse potrebbe spiegarsi meglio come abbia potuto Dolores Hart, attrice arrivata in cima alla vetta hollywoodiana, quasi un cinquantennio orsono, dare un brusco colpo di timone alla sua vita rinnegando per sempre la fama, il lusso, l’affair in dirittura di matrimonio col businessman Don Robinson (e dunque tutto quanto è umanamente e terrenamente invidiabile o desiderabile) facendosi… suora di clausura benedettina. Gli studios cinematografici losangelini hanno perso, non senza shock, un volto di bellezza magnetica in grado di reggere il confronto con quello più noto del mitico Elvis Presley, ma l’universo della fede ne ha guadagnato una testimonianza tanto forte da porsi come “cruccio” cui tutta la collettività è costretta, ieri come oggi, a confrontarsi. La carriera di Madre Dolores (oggi priora del suo convento), inizia nel 1956 all’età di 18 anni, decollando molto presto dopo aver interpretato l’oggetto delle attenzioni di Elvis nel film Loving you (Amami teneramente, Hal Kanter, 1957). La ragazza detiene un primato storico: fu la prima attrice a scambiare un bacio su pellicola con l’idolo delle folle. Del cantante Dolores può testimoniare un aspetto poco conosciuto: Elvis era un ragazzo del sud allevato secondo la religione cristiana battista e nei lunghi intervalli fra una ripresa e l’altra ( si legge nell’articolo della Nucci), leggeva la Bibbia sottoponendo alla collega i versetti che colpivano la sua attenzione, chiedendole: “Che ne pensi di questo?” Dolores si dice “contenta di essere fra i pochi ancora al mondo che possano testimoniare che persona perbene fosse”. Dopo quest’importante esperienza di carriera Dolores sarà richiestissima da tutti, girando altri due film prima di lavorare ancora accanto ad Elvis già nell’anno successivo (King Creole, La via del male, 1858, Michael Curtiz). In un’intervista ricorda le rocambolesche avventure per aggirare le folle urlanti che inondavano strade e hall di palazzi, nonché l’episodio in cui i due suonarono assieme, lei il clarinetto ed Elvis il pianoforte, alla festa di compleanno di Jan Pastore, sorella di lui. Dolores dipinge Elvis come un gentlemen dotato di semplicità, umorismo e, incredibilmente, timidezza. Successivamente la ragazza debutta a Broadway, vincendo un Theatre World Award nel 1959 e ricevendo una nomination per il Tony Award come Best Featured Actress per il suo ruolo in “The Pleasure of His Company”. È in questo momento della sua vita che un amico la invita a visitare l’abbazia di Regina Laudis per incontrare alcune suore a suo dire “veramente speciali”. In tutta risposta l’allora mondanissima Dolores rispose, con impeto che potremmo immaginare scandalizzato: “SUORE?!? No, non voglio incontrare suore!” L’amico che Dolores non specifica, ma che probabilmente era per lei una sorta di mentore o consigliere, rispose: “Ti ho mai indirizzato in modo sbagliato?

Così la giovane andò al Regina Laudis e qui, dopo alcune ore, avvertì una chiamata inequivocabile. “Tu avverti di essere in un posto speciale” afferma, e poi prosegue a raccontare: “Bene, dopo la prima visita sono ritornata indietro per gli spettacoli successivi, ma alla fine ho chiesto alla Reverenda Madre se lei pensava che io potessi avere la vocazione. Lei disse “No, no; torna indietro a fare i tuoi film. Sei troppo giovane”. L’ho fatto, e poi ci son stati altri film: Where the Boys Are e St. Francis of Assisi, che mi hanno condotto a Roma. Incontrai Papa Giovanni XXIII e lui fu vero strumento d’aiuto nel formare i miei propositi sulla vocazione. Quando venni presentata al papa dissi “Sono Dolores Hart, l’attrice che interpreta Chiara”. Lui disse “Tu sei Chiara” (in italiano). Pensando che mi avesse frainteso dissi “No, Sono Dolores Hart, un’attrice che rappresenta Chiara”. Papa Giovanni XXIII mi squadrò negli occhi e affermò: “NO. Tu sei Chiara!” La sua dichiarazione restò con me e mi risuonò nelle orecchie molte volte”.Dolores reciterà in molti altri film (per un totale di 17), venendo considerata una delle stelle nascenti hollywoodiane. Alla domanda se le manchino mai il mondo e le amicizie di Hollywood la religiosa sgrana gli occhi ed esclama: “Ovviamente! Fare l’attrice coronava il sogno che avevo da quando avevo sette anni! Ero felicissima ad Hollywood! La mia esperienza non facile fu una prova lunga e durissima. Ma lo Spirito Santo ci aiuta sempre a compiere quello che siamo chiamati a fare. E mi resi conto che la mia ricerca di Dio era una ricerca sponsale. C’è una promessa legata a ogni vocazione che va al di là dei sogni più stravaganti. È un dono che il Signore ti offre, e il Signore è di parola.” Le viene domandato in un’altra intervista perché se ne sia andata da Hollywood, e la Madre risponde: “Non ho mai pensato alla mia decisione come ‘andarmene da Hollywood’. Ho sentito che era di più, andare verso l’interno di qualcosa di molto più significativo e verso quello, portare Hollywood con me. Ho veramente amato molto il mio lavoro e le persone con cui ho lavorato”. Davvero straordinario anche quanto riferibile alla precedente storia d’amore col ricco affarista Don Robinson, abbandonato a un passo dal matrimonio e rimasto celibe per sempre. “Un’esperienza meravigliosa per Don Robinson e me”, racconta l’ormai anziana Dolores. “Lui aveva avvertito che mi trovavo nel mezzo di una “chiamata”. Lui volle mettere alla prova il fidanzamento, “Facciamo un tentativo” disse. Passarono diversi giorni, stavamo guidando lungo la strada quando ad un tratto lui fermò la macchina. Don disse “Qualcosa non va. Mi ami?” “Ma certo, Don, che ti amo”. Lui lo chiese ancora e poi disse, “Qualcosa in te non è con me”. Quando tornai a casa all’una del mattino, telefonai e presi il volo delle 06.00 per andare all’abbazia Regina Laudis. Dio è lontano da noi tutti finchè non entriamo nella realtà di noi stessi. Finalmente arrivai a dire nel mio cuore più che in tutto il resto, e apertamente a me stessa “La mia ricerca di Dio è la ricerca di un marito”. Quando parlai ancora a Don, lui sapeva, perché un uomo sa, ogni essere umano sa quando qualcosa è vero. Noi eravamo a cena e io non indossavo il mio anello di fidanzamento. Don disse, “Lo so… l’ho capito. Questo è quello che devi fare, e io devo fare questo con te. Dobbiamo fare questo assieme.” “E’ stato un dono magnifico” ammette la suora “e in tutti questi anni lui ha mantenuto la parola”. Dalla California va a a trovarla almeno due volte l’anno, nel Connecticut, e fa tutto quello che può per il convento: “Non tutti gli amori devono finire davanti all’altare”, dice Don serenamente.

Ma la ricca, famosa, brillante, ammirata Dolores Hart, se dovesse rifare tutto questo, lo rifarebbe? “Spererei di avere il coraggio di rifarlo ancora. La mia vocazione è stata davvero appagante e gratificante”. (fonte 1, 2)



ENNIO MORRICONE: LA FEDE E LA MUSICA
15 dicembre 2010, 8:00 am
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Ho sempre pensato che nessun sito/blog che intendesse affrontare l’argomento “cinema”, potesse in alcun modo prescindere dal dedicare un post al celebre compositore Ennio Morricone. Forse l’unica possibilità di omettergli un tributo sarebbe accorsa nel caso di un blog rivolto a un piccolo filone della cinematografia, una nicchia insomma (forse  proprio quella religiosa). Invece no! Come rivela Morricone stesso in una bellissima intervista concessa al sito Zenit.org, egli si dichiara un “uomo di fede”. L’argomento che vado a riproporre oggi, nella speranza che non fosse passato sotto agli occhi di tutti a suo tempo, risale a poco più di un anno fa. Se riesumo questa intervista i motivi sono 3:

-1 L’occasione di parlare di Morricone (figura leggendaria del cinema) in una prospettiva religiosa, non conosce data di scadenza, e la necessità di farlo diventa prepotente in un blog che tratta di cinema cattolico.

-2 Quando lessi l’intervista mi dissi: se avessi un blog mio vorrei dare risalto proprio a notizie come questa… che peccato non averne uno!! Il blog è nato un anno dopo, e ho voluto  soddisfare quel desiderio.

-3 Sono un sincero ammiratore del lavoro del Maestro!

Ennio Morricone è noto in tutto il mondo per la creazione di sinfonie immortali, che regalano anima e spessore a film di altrettanto rilievo: una su tutte, quella che è ormai un clichè ricordare ma che (essendo legata a filo doppio alla Chiesa Cattolica, e trattandosi di musica di inesauribile bellezza) ho il dovere di riportare anche qui. Avrete capito di quale sto parlando: la colonna sonora del film di Roland Joffe, 1986: The Mission. Si tratta di una fra le oltre 450 sue composizioni, molte stratificate nella cultura pop, altre eternamente riascoltate ed eseguite, altre quasi dimenticate, ma tutte frutto di un talento straordinario e gradini di una luminosissima carriera, (spintasi fino al farne un’icona della musica).   Andiamo dunque a riscoprire i contenuti più caratterizzanti dell’intervista, estrapolandone dei passi direttamente dai testi disponibili su Zenit.org, irrinunciabili per questo cineblog:

“Penso alla musica che devo scrivere; la musica è un’arte astratta”.

Un intenso ritratto del Maestro.

“Ma certamente, quando devo scrivere su un tema religioso, la mia fede entra in gioco”. Ha spiegato poi di avere dentro di sé una “spiritualità che è sempre presente nel mio lavoro”, ma non è qualcosa che dipende dalla sua volontà, è semplicemente qualcosa che sente. “Come credente, questa fede è probabilmente sempre presente, ma è lì perché sia riconosciuta dagli altri, dai musicologi e da coloro che non solo analizzano i brani musicali, ma comprendono la mia natura, la sacralità e il misticismo”, ha osservato. Detto questo, sostiene che Dio lo aiuti sempre a “scrivere una buona composizione, ma questa è un’altra storia”.

[…] Parlando di un altro appassionato musicista, Papa Benedetto XVI, Morricone dice di avere un'”ottima opinione” del Santo Padre. “Mi sembra un Papa di grande intelligenza, un uomo di grande cultura e anche di grande forza”, afferma. Particolare favore lo esprime per gli sforzi di Benedetto XVI nella riforma della liturgia, un tema a cui Morricone tiene molto.