LA LUCE IN SALA


OSCAR 2011: NIENTE DI FATTO PER “THE CONFESSION”
28 febbraio 2011, 12:08 PM
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La notte degli Oscar è arrivata anche quest’anno, e nonostante le previsioni fossero poco traballanti c’è stata ugualmente qualche sorpresa. Senza enfasi la vittoria delle vittorie annunciata sin dalle inattese nominations: miglior film, miglior regia (TomHooper), miglior attore protagonista (Colin Firth) e miglior sceneggiatura originale (David Seidler) per “il Discrosco del Re”. Trascurato l’iniziale favorito “The Social Nework”, del tutto ignorato “Il Grinta” dei fratelli Cohen, semi-ripescato il bistrattato “Inception”(Nolan).

Dopo questa stringatissima introduzione (che merita un approfondimento su qualunque buon sito di “cinefilia senza riserve”), passiamo all’immancabile focus cattolico sulla situazione: no, “The Confession” non ha vinto! Sto parlando del simpatico cortometraggio cui avevamo dedicato qualche riga alcune settimane fa. Ribadisco che non avendo ancora visto il filmato per intero corro il rischio di creare un fraintendimento fra le intenzioni del regista e lo spirito di questo blog, ma vi invito a rileggere il post cui accennavo prima e ad osservare, qui sotto nel video, l’importante presenza contestuale del cattolicesimo. Il premio è andato a un titolo comunque evocativo: “God of Love”. La mia impressione è che entrambi i titoli si divertano a “giocare coi santi”, rivolgendosi scanzonatamente alla religione, ma “The confession” suggerisce a mio parere, attraverso la mediazione dell’universo infantile, un più raffinato ed equilibrato incontro tra sacro e profano. La prospettiva fanciullesca degli avvenimenti più delicati consente spesso di regalare una risata, scusando a cuor leggero l’innocente (irresistibile) irriverenza. Ne riparleremo con cognizione di causa se e quando i corti saranno disponibli per il pubblico. Alla prossima!



UOMINI DI DIO, IL MIGLIOR FILM IN FRANCIA
26 febbraio 2011, 12:58 PM
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Ieri sera al Théâtre impérial du Châtelet (Parigi), l’attesa consegna del massimo riconoscimento cinematografico francese giunto ormai al suo 36° anno, il Premio César. Come anticipato alcuni post addietro, il film su cui puntavamo la nostra attenzione era, naturalmente, l’intenso “Uomini di Dio” di Xavier Beauvois, letteralmente ricoperto di nominations. Delle ben undici avanzate soltanto tre si sono trasformate in statuette dorate; la più prestigiosa, (che perdona il ridimensionamento delle aspettative) è quella che incorona questo frammento di significativo cinema cattolico, miglior film dell’anno. Ne sono veramente contento. Gli altri due premi assegnati sono andati al bravo Michael Lonsdale (miglior attore non protagonista) e a Caroline Champetier (miglior fotografia). E’ davvero la meritata consacrazione artistica di un tributo laico (onestamente compartecipe) al doloroso ricordo dei sette monaci cistercensi martirizzati in Algeria nel 1996.

A sinistra Michael Lonsdale, vincitore del premio al miglior attore non protagonista.

Precedentemente il film si era già accaparrato il Gran Premio della Giuria al Festival di Cannes, ed era stato inoltre selezionato per concorrere alla notte degli Oscar come miglior film straniero, senza tuttavia superare l’ultima selezione. Poco importa, il miglior risultato in assoluto rimane, aldilà dei premi vinti e non, l’enorme, sorprendente, successo di pubblico.



NUOVO FILM SU EDITH STEIN
24 febbraio 2011, 3:21 PM
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Edith Stein (1891 - 1942)

Abbiamo già incontrato sullo schermo l’affascinante figura di Edith Stein nel bel film “La Settima Stanza” (Márta Mészáros, 1995). Tuttavia l’incredibile vicenda umana e spirituale di questa filosofa nata ebrea, passata poi dall’ateismo al convento, e uccisa nel campo di sterminio Auschwitz-Birkenau, ben si presta ad un’ulteriore rivisitazione e approfondimento. E’ perciò con enfasi giubilare che riporto la notizia, diffusa da Avvenire, dove si parla di una nuova versione cinematografica pronta per il prossimo anno, proprio in occasione del settantesimo anniversario della morte della santa. La regia è stata curiosamente affidata a Joshua Sinclair, personalità che non conoscevo prima di un veloce ricerca in rete: questo dottore specializzato in malattie tropicali ha lavorato accanto a Madre Teresa a Calcutta, a Bombay, in varie zone dell’Africa, e ha inoltre studiato teologia comparata all’Univeristà Gregoriana.  Il servizio che presta agli ammalati viene offerto senza compenso, e Joshua ripiega così sul versante artistico della sua attività di scrittore e… appunto, regista. Riporto alcuni stralci inerenti al film in preparazione dall’intervista proposta sul quotidiano cattolico:

[…] Si chiamerà semplicemente Edith. Si tratta di una co-produzione importante tra Austria e Germania, le riprese sono previste tra maggio e luglio. Stiamo completando il cast, che sarà prevalentemente di attori europei. In America il film sarà distribuito probabilmente dalla Universal Picture, stiamo lavorando ai contratti. La musica sarà una grande sorpresa, ma non posso anticipare nulla. […]

Joshua Sinclair

L’ho scoperta [la figura della santa carmelitana] due anni fa, per curiosità. Dopo averne sentito tanto parlare ho cominciato a leggere i suoi scritti, a partire da quelli di fenomenologia. E mi sono interrogato sull’esperienza di una donna che ha riconosciuto la grandezza di Gesù senza ripudiare le proprie origini. Un donna che è passata dall’ebraismo all’ateismo alla riscoperta di Dio attraverso l’ebreo Gesù. La sua, più che una conversione, si può definire una progressione fino a un compimento finale. Ed è stata tutto tranne che una fuga dai mali del suo tempo. Quando un ebreo diventava cattolico era ancora più odiato dai nazisti, che erano profondamente pagani. Fu Hitler a proibire l’insegnamento della religione nelle scuole e l’esibizione del crocifisso. E nella vita di Edith Stein c’è stato spazio anche per l’amore umano, quello con Hans Lipps. La vita di una donna a tutto tondo, insomma, e di una mistica, morta ad Auschwitz come martire sia del mondo ebraico che della Chiesa cattolica. […]

Certamente oggi c’è un grande vuoto spirituale nel cinema commerciale, se pensiamo ai successi di Frank Capra o a Miracolo a Milano di De Sica. Ci si tuffa sul bestseller del momento, come il Codice da Vinci, libro e poi film assurdi sul piano storico e teologico, senza preoccuparsi minimamente delle ripercussioni che può avere per milioni di persone. Mettere in dubbio il valore di una fede, di una Chiesa, mettere in ridicolo persone dovrebbero essere rispettate… Bisognerebbe che noi come registi avessimo più rispetto per queste cose. Conosco Ron Howard, ho parlato con lui di questo. Gli ho detto: “Tu sei un grande cineasta, non hai bisogno di un libro del genere per fare un film”. Dobbiamo usare il cinema per portare più speranza e spiritualità al mondo – ne parlerò anche a marzo, a Vienna, in una conferenza. (Fonte)

Beh… cosa posso dire? Ottimo!



FOTOGRAMMA/PENSIERO #6: THE OTHERS
20 febbraio 2011, 10:49 am
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(Los Otros, Usa, Spagna, Francia 2001, di Alejandro Amenábar)

Le mani di Nicole Kidman, ipnotizzate dal terrore nel culmine del film The Others, si aggrappano al rosario mentre l’ansimata preghiera del Padre Nostro scandisce il cammino verso la triste verità. Il film ricostruisce plausibilmente alcune logiche inafferrabili di un aspetto controverso, ma centrale, dell’universo paranormale. Amenábar, lo stesso regista del recente Agorà, dato il forte piglio anticattolico dimostrato, potrebbe solleticare degli interrogativi anche a proposito di The Others (e ci sono) ma, personalmente, ritengo che la sequenza qui richiamata sia un capolavoro di suspence dove la preghiera, incontrando il panico, diventa urgenza.



THE BUTTERFLY CIRCUS, PRO LIFE DENTRO E FUORI
18 febbraio 2011, 1:08 PM
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Vi propongo oggi un cortometraggio di particolare interesse, visionabile online per intero in inglese, o su Youtube con sottotitoli in italiano (consiglio di non gettarsi subito sulla versione italiana, di qualità assai ridotta rispetto all’originale: per una prima occhiata possono bastare le immagini!). Il pro-life è un concetto monolitico che risponde, con un’unica affermazione presente a partire dal nome, alle molteplici forme di egoismo irrazionale che vanno creandosi intorno al problema “morte” (concetto monolitico per antonomasia) con migliaia di sfumature dipinte a furia di “se” e “ma”. Ed ecco allora che ci si specializza fortunatamente anche nel pro-life, imbracciando battaglie ideologiche contro aborto, eutanasia, testamento biologico, pena di morte, selezione degli embrioni e via dicendo. Particolari questioni sull’universo diversamente abile, ed assurte a movente ideale di un aborto istantaneo, raramente si prestano, data la componente involontariamente deleteria di rispetto e timore, ad essere trattate apertamente. Vi è l’atavica e certamente in parte comprensibile ritrosia a prendere il vero dolore disabile, sceneggiarlo, e “sbatterlo” infine, senza pietosi filtri ammorbidenti, in faccia allo spettatore insofferente. Direi che, oggi come oggi, quando capita che nel serraglio Facebook qualcuno apra gruppi anti-down cui andrebbero indirizzate legioni di assistenti sociali (per dirla laicamente e teneramente), il linguaggio appropriato non sembra essere più quello del tatto, del mellifluo, del commovente da lacrime di empatico trasporto. Diventa urgente un dialogo diretto, teso a chiarire una verità che diviene spregevole essere costretti a ribadire: la vita è sacra. Occorre dirlo con la violenza delle immagini e con la crudezza di un discorso diretto.

Questa lunga e pedante introduzione per arrivare a… “The Butterfly Circus”, un corto di circa 20 minuti girato già nel 2009 da Joshua Weigel. Il gioiellino non è per nulla esente da un’impostazione tesa a suscitare commozione (non risulta brutale come auspicavo qui sopra), ma vi invito a guardarlo e a dirmi se anche secondo voi, la sola scelta del protagonista, il simpatico Nick Vijici, non basta e avanza a mettere nella giusta prospettiva un discorso sulla sofferenza già sentito, ma qui calibrato su uno schiacciante senso di realtà extra-cinematografica.

Il taboo esiste, è un dato antropologico che viene registrato, ma viene subito fatto a pezzi, e se si indulge verso il lacrimevole o il patetico va detto che non lo si fa a sproposito, bensì alla luce di un discorso esemplare nell’esorcizzare una questione spinosissima, potenzialmente deprimente, e che quindi sì… commuove.

La vera forza del progetto sta nella biografia del protagonista stesso (antidoto contro i sospetti di buonismo o superficialità): Nick non finge quello che si mostra nel filmato, semplicemente lo rivive, e se spezza il silenzio prestandosi ed esponendosi è perché ha capito, nel tempo, che il farlo gli offre l’occasione di riscatto da una condizione difficile, di sacrificio in nome della verità, di servizio per la crescita interiore del prossimo. C’è esposizione della sofferenza? Mercificazione del diverso? Ingaggiare il “povero” Nick è un affronto alla sua condizione? Il contesto circense (scelto non a caso) replicato in ben due forme, a polarizzazione degli atteggiamenti umani verso il diverso, abbatte esemplarmente qualsiasi possibile recriminazione. Come mai Nick è così ottimista e vitale? Il ragazzo gira il mondo portando la sua testimonianza in ogni dove, dichiarandosi… fervorosamente cristiano (protestante):

[…] Molte persone mi dicono: “Nick, non potrò mai immaginare quello che hai dovuto passare, la tua storia è la più incoraggiante che abbia mai sentito”… cose così…e per me è un onore. […] C’è da dire che ci sono altri lì fuori che attraversano delle sofferenze, vedete, tutti noi dobbiamo rinunciare a noi stessi e prendere la nostra croce. Tutti noi sappiamo come ci si sente ad essere soli o disperati. E… il fatto è questo… È come se io ti guardo e ti dico “Sai, forse le cose che hai passato tu sono peggiori di quelle che ho passato io”. E tu pensi “No, no, no! Non potrei mai immaginare una vita senza braccia e gambe!” Cioè, noi non possiamo mettere le sofferenze a confronto, ma quello che dobbiamo fare in quanto famiglia di Dio, è unirci […] mano nella mano, ti prendo per mano metaforicamente parlano [ride], e insieme unirci e restare saldi nelle promesse di Dio. Sapendo che chiunque tu sia, e qualsiasi cosa tu stia attraversando, Dio lo sa. Lui è con te e te ne trarrà fuori. […] La cosa più straordinaria che Dio mi ha dato è il suo amore. Sapere che lui mi ama davvero. E quando nella mia vita succedono cose che non riesco a capire, e nella vostra vita, quando nella vostra vita succedono cose di cui non capite il motivo… la domanda è questa: Dio è degno del vostro ringraziamento? Dio è comunque degno della vostra lode? […] Perché rallegrarsi in ogni momento? Perché la Gioia è avere Gesù Cristo. Che mi ama così tanto da essere morto per i miei peccati, mi ha dato la salvezza. Questa vita è temporanea. E sapete? Io amo che questa sia la gioia più grande di tutte: avere Gesù Cristo nella mia vita […]

E’ una professione di fede molto forte e, per fugare qualsiasi sospetto di approssimazione intellettiva o debolezza (sollevato di frequente davanti a tanto trasporto), specificherò che il ragazzo si è laureato a 21 anni in Ragioneria e Promozione finanziaria. Fra gli altri interpreti ricordo la presenza del “Brad Pitt latino” Eduardo Veràstegui, che avevamo incontrato a proposito del film Bella, accennando in quell’occasione al suo percorso di riscoperta del cattolicesimo, di cui questo lavoro è felice espressione. Buona visione! (Fonte 1,2)



GMG 2011: IL PROMO
15 febbraio 2011, 10:52 am
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Abbiamo già parlato dell’ottima casa di produzione cattolica Grassroots Film. Fino a qualche tempo fa non ne sapevo nulla, ma ho iniziato a interessarmene a proposito del documentario The human experience. A ridosso della Giornata Mondiale della Gioventù 2011 scopro che si è data da fare nella creazione di un breve filmato celebrativo. Il tono è quello ormai consueto di un’epica basata sull’utilizzo di musiche inncalzanti, accanto ad immagini toccanti e monumentali assieme. Da notare come tutto sia frutto della sola paziente ricerca sui girati delle passate edizioni, montati in un corto che brilla per potenza ed efficacia.



FOTOGRAMMA/PENSIERO #5: ROMEO + GIULIETTA DI WILLIAM SHAKESPEARE
13 febbraio 2011, 11:36 am
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(William Shakespeare’s Romeo + Juliet,  USA 1996, di Baz Luhrmann)

Lo confesso: amo moltissimo la rubrica Fotogramma/pensiero… e dunque non potevo esimermi dal dedicarle un post in occasione della festa dell’amore romantico. Se (e “temo” sia proprio così), San Valentino è la festa del cliché, devo stare in tema e festeggiarla proponendo qualcosa che sia a dir poco scontato, e direi che con Romeo e Giulietta andiamo sul sicuro (aggiungeteci che sono di Verona e il pastrocchio è bell’e fatto). Una parte di me però si ribella a quest’accettazione passiva del precostituito, si dibatte fuoriosamente costringendomi a non una, ma a ben due azioni di dissidenza! Cominciamo con la scelta della versione cinematografica: Baz Luhrmann o lo si ama follemente o lo si detesta senza riserve… Non c’è bisogno che vi dica, data la ricorrenza, da che parte sto (con tutto il rispetto per l’ottimo e compostissimo Zeffirelli). In questo film l’arci-noto dramma shakesperiano si catapulta credibilmente ai nostri giorni con un gioco che, rivelandosi tale, costruisce il sublime tragico con meccanismi geniali che muovono dall’estetica kitsch e dall’esasperazione di contesti e personaggi comprimari (grotteschi ma, alla fine, persino più dolenti). Il cattivo gusto di ambienti e scelte registiche da videoclip si trasmuta, in poche parole, in vera arte. L’ aderenza al testo originale coinvolge nel discorso anche l’estetismo cattolico che, tradizionalmente, ben si presta alla “sublimazione” kitsch. Un’amore che all’epoca in cui fu scritto doveva passare per il sacramento fa della sua riproposta moderna un’opera di attualizzazione indiretta del matrimonio e del ruolo sacerdotale nella vita dei giovani (se tralasciamo gli scherzi del fato, ovvio). I fotogrammi da selezionare mi hanno creato più di un’incertezza, e veniamo così al secondo atto di dissidente afasia: la scelta del fotogramma. Niente scene di matrimonio (ne abbiamo a iosa in quasi tutti i film romantici), niente scene dell’abbraccio mortale illuminato dai crocifissi con luce blu al neon (questa forse era più originale…ma troppo poco “cattolica”) ma, piuttosto, un superato imberbe Leonardo di Caprio che aiuta Frate Lorenzo nella vestizione prima della messa (quando ci ricapita?).

Concludo con: una precisazione (i Montecchi nel film non sono protestanti come si legge in giro, ma cattolici); un richiamo (riscopriamo, dato una recente pubblicazione, che anche il Bardo era probabilmente cattolico!); un pensiero d’affetto ( per Pete Postlethwaite, cosa che mi ha condizionato nella scelta dell’immagine) e, infine, un augurio di buon San Valentino a tutti! (single compresi…)

Alla prossima!



“LA ULTIMA CIMA” SPOPOLA NELLA SPAGNA CHE SI VORREBBE EX CATTOLICA
11 febbraio 2011, 12:38 PM
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Apprendo dall’Unione Cristiani Cattolici Razionali (spesso foriera, e a ragione, di ottimistiche prospettive) l’enorme successo nella Spagna zapaterista del film “La Ultima Cima“. Questa è una notizia buonissima per due ragioni: non solo testimonia il palpitare di un credo silente (se confrontato alle altre posizioni) e vivissimo, ma anche perchè, naturalmente, un boom in patria molto spesso significa diffusione fino al mercato italiano.

Qualche giorno fa abbiamo parlato del bellissimo film ispirato al seminarista Alessandro Galimberti Voglio essere profumo, oggi parliamo invece di questa pellicola spagnola incentrata su un’altra figura di sacerdote dal carisma particolarmente forte. Don Pablo Domínguez era un presbitero madrileno che conciliava l’amore per la montagna (frequente in molti giovani religiosi) e per la chiesa, in una vita spesa per la fede e il prossimo. Disgraziatamente a costargli la vita, nel 2009, fu proprio l’impervia discesa dall’ultima vetta rimastagli da scalare sul territorio spagnolo: il Moncayo, di 2000 metri.  A restare integro nei ricordi di quanti si erano rivolti a lui è il ricordo di uno spirito allegro, generoso ed umile. Il docu-film rappresenta in modo esauriente una figura sacerdotale capace di testimoniare la verità con intelligente coerenza (e rappresentativa insomma di una categoria oggi ingiustamente bistrattata), attravero anche l’ausilio delle testimonianze di quanti lo conobbero da vicino (fra i nomi di spicco ricoriamo ad esempio il Cardinale Cañizares, che lo scelse come docente alla San Damaso). La montagna si impone quale rappresentazione soverchiante del sacro, offrendo momenti di riflessione e contemplazione assieme. L’incpit si propone scherzoso e provocatorio, per poi lasciare il passo, mentre si sviluppa il dramma, a una maggior elevazione di forma e contenuto (leggiamo su Regnum Christi. org)

«Volevamo fare una pellicola che fosse come don Pablo», ha dichiarato il regista Juan Manuel Cotelo in un’intervista ad Avvenire. «Lui, dottore in filosofia e teologia che parlava quattro lingue, era un intellettuale che quando predicava era compreso da tutti, bambini e adulti. Un uomo che è arrivato al cuore della gente e che ha spinto a vivere una vita piena di senso. Oltre alle testimonianze di parenti e amici abbiamo inserito nel film interviste spontanee in mezzo alle vie di Madrid, per capire cosa davvero pensa la gente del sacerdozio. La sorpresa è stata che in Spagna 7 persone su 10 apprezzano la figura del prete».

La prima italiana si è tenuta già a giugno 2010 a Roma, presso l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum. Successivamente c’è stata una proiezione milanese a luglio, presso la Curia. Attaulemente il film sta circolando in America latina: teniamo gli occhi aperti. (Fonte 1, 2, 3)



BABIES: IL PRO-LIFE E’ IMPLICITO
9 febbraio 2011, 8:32 am
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Beh, non dovrebbe essere il titolo di un articolo… Ma il pro-life, lo sappiamo, oggi non è affatto implicito. Non ho approfondito quali siano le intenzioni ideologiche del regista, ma credo che lo scegliere di realizzare un documentario interamente dedicato alla nascita e crescita di quattro piccoli esseri umani, contenga (anche solo indirettamente) una visione molto netta su alcune questioni “non sindacabili”. Fra l’altro il sottotitolo sulla locandina sembra quasi una presa in giro nella sua ipotetica scontatezza: Everybody loves babies.

Non si vedranno appelli o sermoni sulla bellezza della vita, bensì solo la vita, la cui bellezza parlerà da sola. Il regista francese Thomas Balmes ha dichiarato “Ho voluto offrire il punto di vista di un bambino, farvi immergere nel mondo di un bambino per 80 minuti“.  Non si tratta solo del mondo dei nostri figli, nipoti, piccoli conoscenti e amici, ma di ben quattro diversi ambienti (Tokyo, San Francisco, Namibia e Mongolia) che consentono di spalancare lo sguardo su una differenziazione antropologica che, nel distinguere, finisce coll’unire. Il film si preannuncia divertentissimo, visto che l’enorme pazienza nello svolgere le riprese (che hanno accompagnato i quattro piccoli per la bellezza di un intero anno) ha portato alla registrazione di momenti di grande spontaneità. In alcune occasioni, complice l’inafferrabile caso, si sono fissate scenette che rasentano lo sketch.

Se vi ripropongo una riflessione su questo titolo non freschissimo (è uscito nelle sale americane a maggio 2010) i motivi sono vari: volevo parlarne perchè il film merita, e quando era una novità La Luce in sala non esisteva ancora; poi volevo far notare (di nuovo) la sordità del mercato italiano verso alcuni titoli interessanti e, infine, cercavo un titolo che si appaiasse al filmato agrodolce, ma potente, che vi propongo qui sotto. Si tratta della famosissima March for life, svoltasi il 22 gennaio scorso a Washington (Fonte 1, 2).



VOGLIO ESSERE PROFUMO
7 febbraio 2011, 11:21 am
Filed under: Cattolici, Di ispirazione, Film

(Voglio essere profumo)

It 2010, di Filippo Grilli, con Fabio Sironi, Marta Filippi, Lorenzo Pozzi, Simone Farina, Giulia Trabucco, Alberto Crippa…

Lo devo veramente ammettere: quando ho visto il trailer di Voglio essere profumo pensavo di approcciarmi a qualcosa di sperimentale e tecnicamente approssimativo. Con ogni entusiasmo mi sono interessato al progetto, pensando che nello scriverne un’eventuale recensione avrei dovuto insistere nell’elogiare soprattutto l’iniziativa in sé, lo spirito soggiacente all’operazione, la buona volontà delle persone coinvolte. Pensavo, in sostanza, che la forma fosse meramente accessoria al significato e per forza di cose trascurabile, o peggio, contrappeso inversamente proporzionale alla nobiltà del messaggio. Chi ha già visto il film capirà la mia sorpresa nel realizzare come, alla faccia di un budget risicato, la cura amorevole di un regista possa bastare a sé stessa. Si nota come il montaggio renda buon servizio a un girato sapiente, che ha selezionato in modo accurato ogni inquadratura, ogni elemento della sintassi cinematografica in funzione di un discorso fluido, ritmicamente ineccepibile. Se non si è potuto spendere molto per le scenografie ci si è rivolti a paesaggi mozzafiato e ad ambienti reali che in più di un’occasione mostrano bellezze nascoste, o che più semplicemente si era smesso di guardare. Se non ci sono grandi nomi fra gli interpreti non è solo per motivi di caché, dato che chi si è speso qui l’ha fatto pro bono, ma perché i volti di ragazzi di tutti i giorni avrebbero reso genuino un discorso che si rivolge proprio a loro: i ragazzi di tutti i giorni. Ancora sugli attori dovrei dire che a tutti è riservata l’occasione per almeno un pezzo di bravura, spesso portato avanti con convinzione; talvolta qualcuno cede, ma posso dire che si sono visti alcuni personaggi che potrebbero suscitare le invidie di produzioni ben più altisonanti.

A costituire un gran punto forza è la sceneggiatura: la storia si dipana tranquilla, descrivendo in modo assolutamente reale tante situazioni che vanno dallo scomodo (la castità giovanile, il tema della convivenza) al particolare (il rapporto tra due fratelli entrambi seminaristi, una suora “in prova” che lascia ai dubbi il loro spazio), al tradizionale (le relazioni amorose, le rotture, le conferme sentimentali). Non ci sono mai momenti retorici nonostante sia chiaro il timbro evangelico della trama: l’una o l’altra conclusione fluisce direttamente dalla storia, o da ciò che un promettente sacerdote suggerisce senza dialoghi esausti, senza ovvietà o forzature. In questo senso è un vero gioiello. Sarà poco credibile l’obiettività di un credente? Probabilmente, e dunque vale la pena sbilanciarsi in questo senso: chi è lontano dalla vita parrocchiale potrà sentire, senza edulcorazioni, come l’aria all’ombra del campanile sia salubre ancora oggi. Chi da piccolo ha frequentato le attività estive parrocchiali se ne sentirà risvegliare un ricordo commovente e chi, soprattutto, da molto non scambia una parola con un sacerdote, ne sentirà la nostalgia e forse perfino il conforto virtuale. Tutto questo perché il film è storia che intrattiene e strumento di catechesi assieme; richiama con forza un sistema di valori oggi spesso biasimato, spingendoci verso una riflessione che interroga sulla sostanza dei “progressi” sociali raggiunti oggi.

Di contro, trovo che la colonna sonora in un paio di momenti (e solo in questi, essendo di grande delicatezza), tenda a distrarre imponendosi sul racconto, e che l’incipit e la conclusione della narrazione eccedano in simbolismo, comunque scusabile viste le esigenze celebrative dalla trama. Ometterei una sinossi più accurata rimandandovi a un post di qualche tempo fa, per passare ad alcune veloci riflessioni conclusive. Vorrei elogiare la forte novità di un prodotto come Voglio essere profumo, che filtra il quotidiano nella religione, che parla di Chiesa senza parlare di storia di papi, e di sacrificio senza scomodare i grandi nomi del calendario. Francesco (figura ispirata al compianto seminarista Alessandro Galimberti) diviene in qualche modo, a partire dall’eroismo semplice di ogni giorno, simbolo del sacerdote antonomastico che chiarisce, dopo i difficili tempi di scherno confusione e dramma, cosa renda un ministero così lusinghiero e difficile, legittimo e necessario ogni giorno di più. La Gpg Film opera sul doppio registro della fede nel fare e nel mostrare, cosicché non solo il film diviene brano vivo di verità da diffondere, ma diario di una fatica umana condotta gomito a gomito fra persone che hanno inteso, girandolo, applicare sin dall’atto creativo quanto mostrato nelle immagini, con una sinergia fra spirito ed azione che diviene, così, la più grande ed efficace fra le garanzie di qualità. Da vedere. (Ringrazio il Sig. Giancarlo Grilli per aver reso possibile questa recensione.)