LA LUCE IN SALA


CALVARY
16 luglio 2014, 10:22 am
Filed under: Cattolici, Film

(Calvary)

UK, 2014, di John Michael McDonagh, con Brendan Gleeson, Chris O’Dowd, Kelly Reilly, Aidan Gillen, Dylan Moran…

Calvary

Quasi un evento. Calvary è un film perlopiù buio e cattivo. Può, un film perlopiù buio e cattivo, essere un film cattolico? Chi mi legge qui da un po’ sa quanto mi piacciano i vecchi film dove l’ateo si toglieva il cappello scherzando bonariamente, e dove il cruccio riccorrente del sacerdote poteva essere, che so, il trovare i fondi per costruire l’orfanotrofio di turno. Belle favolette anni ’50 insomma: quell’immaginario si è esaurito per sempre, oggi l’ateo nutre un rabbioso disprezzo, l’orfanotrofio viene venduto o sprangato; il binomio prete-bambini suscita a molti il gelo… oppure un sorrisetto malizioso. Uno dei paesi da cui gli errori continuano ad essere pubblicizzati in tutto il mondo è uno di quelli a fortissima tradizione cattolica, un paese che dal falso di Magdalene (Mullan, 2002) fino al pluripremiato (ma dai?) Philomena (Frears, 2014), non ha ancora smesso di ispirare lungometraggi basati sulle colpe, vere o presunte, della Chiesa: l’Irlanda. Nell’Isola di smeraldo la religione cattolica è da sempre stata caratteristica spontanea dell’esserci nati, identitaria in senso stretto anche per questioni irredentiste che si rafforzavano a mano a mano che la persecuzione inglese si faceva più pervicace. Fino a poco tempo fa insomma chi diceva “irlandese” diceva “cattolico”, ma finite le vessazioni gli attacchi della secolarizzazione hanno profondamente mutato l’anima e il tessuto sociale della nazione… e poi, “finalmente” sono emersi quegli scandali che “hanno oscurato la luce del Vangelo a un punto tale cui non erano giunti neppure secoli di persecuzione” (Lettera Pastorale del Santo Padre Benedetto XVI ai cattolici d’Irlanda).

Mi sono dilungato in questioni generali solo per meglio presentare e introdurre la mia proposta interpretativa di un film certamente non facile. La lunga serie di pellicole anticattoliche a sfondo irlandese trova dalle vicende meno cristalline della storia recente dell’isola, un efficacissimo casus belli, dal momento che i tratti della critica sono divenuti quelli di una vera e propria guerra. Ecco che allora, se un regista – John Michael McDonagh – ha delle uscite come quelle che riporto qui sotto, iniziare la visione di un film che parla di un sacerdote irlandese dei giorni nostri è molto più interessante del solito.

“L’idea per il film mi è venuta durante la realizzazione di The Guard quando Brendan [Gleeson – protagonista di Calvary] ed io parlavamo di quanto dev’essere terribile per qualcuno che cammina per la strada essere giudicato subito in modo sinistro a causa di quello che indossa. Molti preti divengono preti perché vogliono fare del bene, ma non sono più percepiti in quel modo. L’universo morale è stato capovolto. Quando inizialmente ne abbiamo discusso, ho pensato che ci sarebbero più film cliché in uscita che trattano di preti cattivi. Ho pensato, mandiamo fuori per primo il nostro film su un buon prete, tutti gli altri su preti cattivi possono venire dopo”.*

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Caro John, voglio dirti grazie! Quello che hai detto è oggi più unico che raro, detto da un laico di successo. E la tua carriera sarebbe probabilmente finita qui, se tu non avessi creato un film cattolico in cui sembri essere molto consapevole di questo rischio.

Non siamo tuttavia davanti a un film che smentisce le dichiarazioni del regista (come quella …… schifezza – tutt’altro che intelligente – di Svećenikova djeca), ma un film che le realizza appieno, trovando il modo di piacere a tutti (92% di recensioni positive su Rotten Tomatoes!) sporcando un po’ tutta l’operazione. Dunque ora un dilemma tutto nostro: possiamo prendere per buono l’unico film che da anni parla di un buon prete, accettando alcune volute forzature e distorsioni nella rappresentazione di quello che gli sta intorno? Io ci ho pensato su… e l’ho fatto. Per me questo è un film cattolico, imperfetto e sporco… ma che dando di gomito al mondo anticattolico propone con cautela a quest’ultimo una clamorosa domanda: che stai facendo? Avremmo voluto che McDonagh si immolasse? Ma no, usa al rovescio la tecnica di tanti altri film recenti, in modo che siano visti da più gente possibile: dire quello che si ha da dire in mezzo all’ambiguità, non dichiaratamente, e magari verso le ultime scene (per fare qualche esempio: il già citato Svećenikova djeca (Bresan, 2013), ma anche l’americano – oscenamente anticristiano – C.O.G. (Alvarez, 2013), l’olandese Hemel Op Aarde (Frost, 2014). Non tutto ci piace, l’ho già detto e ci tengo a ripeterlo. Dopo un’accurata valutazione a caldo (l’ho visto una sola volta!) – posso dire che questo è un film che meritava di essere recensito. Può non essere considerato cattolico per vari motivi, può deludere per alcuni aspetti… ma è un film per cui scomoderei l’etichetta “di trincea”.

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Per farvi capire il tenore generale, che incarna niente di più che l’abituale crudezza british su pellicola, eccovi le prime dieci parole (siano un monito alla sensibilità del lettore che sta decidendo se vedere il film): “La prima volta che assaggiai il seme avevo sette anni”. Siamo in un confessionale, e ad ascoltarle disorientato c’è Padre James, il protagonista. Poco dopo gli viene comunicato che tra una settimana sarà ucciso, a causa delle colpe di un suo collega trapassato naturalmente. “ Io la ucciderò padre, la ucciderò perché non ha fatto nulla di sbagliato. La ucciderò perché lei è innocente”. Innocente come erano innocenti i bambini violati, ma anche e soprattutto ‘eco di ciò che si è voluto far accadere nell’opinione pubblica: basta leggere sopra all’assassinio fisico, un omicidio d’opinione, un dissanguamento filosofico. E già qui il senso di un titolo profondo come Calvary appare chiaro, ma il regista – che è anche scrittore del film – fa un ulteriore passo per contestualizzarlo in modo completo. Egli descrive cioè il gregge affidato a Padre James come un insieme di tipi umani “osceni e terribili”, stando alle sue parole. Il sacerdote è un uomo retto e semplice che agisce in un mondo popolato di persone ciniche e svuotate di ogni morale, ogni delicatezza e sensibilità; non manca nemmeno un collega presbitero di insopportabile insipienza spirituale (un campionario degli irlandesi 2.0, sembra voler suggerire McDonagh). Da questa turba di grottesche ed iperboliche pecorelle dovrebbero così venire le occasioni di dialogo proprie di una commedia nera, come viene definito il film. I picchi di cinismo possono eventualmente far sorridere con un’amarezza ben poco divertita, sfaccettando la sensazione di solitudine del sacerdote. Un sacerdote tra l’altro molto intelligente, che non combatte inutili battaglie (una scelta dolorosamente lucida, non disfattista o pigra) ma che forse ci sarebbe piaciuto, in qualche occasione, meno stanco e desolato (ma non possiamo in nessun modo biasimarlo). Lo avremmo voluto forse più ciarliero, con la risposta in tasca… ma è un personaggio con il suo carattere, e questo va accettato.

Ripeto ancora che il film fa tutto il possibile per non incensare la Chiesa: non è sempre onesto nei suoi riguardi per i motivi già spiegati… eppure, lo sguardo di McDonagh è partecipe della sofferenza del suo personaggio. Lo accompagna nel suo calvario descrivendo momenti che, al cinema, avevo definitivamente disperato di poter vedere. Mostra come il grave crimine di alcuni uomini di chiesa abbia effettivamente danneggiato tutti, non solo le prime vittime di quegli atti, ma anche altri innocenti. Pare chiedersi se la politica del “dagli” al prete in quanto prete, sia in ultima istanza una buona idea… non solo per i sacerdoti che non hanno fatto nulla di male e che anzi si sforzano di aiutare, ma anche per coloro sui quali quell’aiuto potrebbe ricadere. Ne hanno bisogno di quell’aiuto? Cosa accade quando quell’aiuto viene quotidianamente e gratuitamente disprezzato? L’uomo è felice e completo, sguazza nella meraviglia, quando quell’aiuto è mortificato ancora e ancora e ancora?

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Anche dal punto di vista tecnico il film è del tutto apprezzabile. La scelta delle inquadrature è non di rado interessante, e almeno visivamente, quella poesia che i personaggi neutralizzano con le loro parole, invade lo schermo con ripetute fascinazioni. Gli attori sono tutti davvero capaci, Gleeson ha dato al cinema una figura di sacerdote particolare, intensa e memorabile. Voglio spararla grossa: si inserirà a buon diritto nel solco dei sacerdoti sofferenti di Bernanos e Marshall, attualizzandone crudelmente lo strazio. Divertente rivedere Aidan Gillen, il viscido Lord Baelish de Il Trono di spade prestare il volto alla versione 2.0 del medico ateo cinematografico. Non di rado – pregio dei pregi – sono le parole del film, i dialoghi, ad essere semplicemente meravigliosi. È il caso, per fare un esempio, di una delle battute dal tratto meta-cinematografico appunto di Gillen: “Certo. Il medico ateo. È un ruolo classico da recitare. Non ci sono così tante buone battute. Una parte umanesimo e nove parti di umorismo macabro. Recitare lei invece? Quello è interessante. Il buon prete.” Una frase detta per ferire, da un personaggio che a conti fatti appare forse soprattutto invidioso. Ed è un po’ questa la chiave di lettura del film: un tiro al bersaglio gratuito contro un oggetto d’odio giustificato, ma per cui si inizia a sentire nostalgia prima che sia completamente distrutto. Un riconoscere con ironia grondante sospetto quanto sia “interessante”, il ruolo del buon prete.

Consigliato.


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